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sabato 2 maggio 2020

Mano negra, clandestina! I braccianti agricoli ancora senza diritti. Il Caporlato e le agromafie: la vera piaga dell' agricoltura

Il caporalato e lo sfruttamento dei braccianti  riguarda tutta la Penisola. Nessuna regione è esclusa da questa piaga sociale. 
Lo sfruttamento riguarda perlopiù migranti provenienti dalla Nigeria, Gambia, Senegal, Eritrea, Romania, Polonia, e da altre parti del Mondo.
Sono gli ultimi del Mondo. Gli esclusi. Quelli senza protezione alcuna nè diritti. Ma sono loro che fanno arrivare sulle nostre tavole cibo, ortaggi e verdure. Pagati circa tre euro l'ora. 
Ieri ad Asti in tre sono finiti in manette.  Sfruttavano braccianti agricoli extracomunitari, durante la vendemmia nel Monferrato, pagandoli 3 euro l'ora e facendoli lavorare fino a dieci ore ininterrotte al giorno. Tre presunti 'caporali' albanesi sono stati arrestati questa mattina dai carabinieri del Nucleo operativo della Compagnia di Canelli (Asti), che hanno denunciato a piede libero altre 5 persone. I tre arrestati erano a capo di una cooperativa di Canelli. Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, aggravato dalla finalità di discriminazione razziale, le accuse nei loro confronti.
Originari di Nigeria, Gambia, Senegal e Mali, gli stranieri sfruttati - in due anni una quarantina - secondo quanto accertato dai carabinieri, provenivano in prevalenza da centri di accoglienza per migranti. Venivano portati in vigna senza alcun rispetto delle più basilari norme in materia di sicurezza del lavoro, in condizioni degradanti, spesso umiliati e insultati per la loro provenienza e fatti alloggiare in stabili fatiscenti. Dai salari, i caporali detraevano le spese di vitto e alloggio e anche il servizio di trasporto veniva decurtato dalla paga giornaliera, per la maggior parte in nero: solo il 20% veniva denunciato all'Inps.
Gli altri cinque denunciati a piede libero si occupavano in prevalenza del trasporto dei braccianti in vigna e li controllavano. Tra questi un'astigiana di Canelli, che gestiva la contabilità occulta dei profitti guadagnati e la corresponsione dei salari.

Mano negra, clandestina!

I braccianti agricoli ancora senza diritti. ( da: I Siciliani Giovani) 

Si svegliano alle cinque del mattino per andare a lavorare nei campi sotto il sole cocente della Calabria. Stanno con la schiena piegata e la fronte grondante di sudore tutto il giorno, senza avere nessuna garanzia. Sono uomini e donne emarginati, sono quei migranti che, una volta sbarcati in Italia, si riversano nelle coltivazioni di tutto il Meridione, accrescendo il potere del caporalato locale: “L’economia agricola calabrese, specialmente nella zona del reggino, la mantenevano proprio queste persone che venivano segregate e schiavizzate. Dovevano pure tacere se volevano essere impiegate il giorno dopo.” dice Orlando Amodeo, medico presso il centro d’accoglienza di Crotone, scrive sui Siciliani Giovani Karola Sicali, che continua: “Per pochi soldi, dieci/quindici euro al giorno, lavorano dalla mattina alla sera, raccogliendo pomodori, mandarini ed arance. L’economia del nostro Paese, soprattutto l’agricoltura, si regge in questo modo e chi afferma il contrario non ha capito niente.” – prosegue il medico – “tutta questa gente che lavora la nostra terra dovrebbe essere assunta legalmente, perché la stragrande maggioranza delle persone che si trovava nella tendopoli di San Ferdinando, pur avendo un permesso, non aveva un contratto di lavoro. Io per quattordici anni, una volta alla settimana, andavo lì a portare medicine, farmaci, bende, garze, alcool e disinfettante per aiutarli come potevo.” I braccianti agricoli, infatti, vivono in una sorta di jungla e come ha ricordato qualche giorno fa, sul suo profilo Facebook,Aboubakar Soumahoro, i diritti e la dignità sono spesso negati ai lavoratori della terra, anche agli italianissimi.
“Uno Stato serio, di qualunque fazione, dovrebbe mettere in regola chi si spacca la schiena e non far sempre guadagnare i pochi eletti, peraltro proprio in quella zona densamente ‘ndranghetista.” spiega Amodeo. “Però non è sempre così: in Calabria ci sono molte persone perbene che non sfruttano i migranti. Per la raccolta delle olive, io ne ho fatti assumere una quindicina col contratto di lavoro. Noi abbiamo un cuore grande e siamo molto più intelligenti di quello che ci vogliono far sembrare. Adesso sta funzionando anche la ripartizione, perché dal centro ne abbiamo mandati tantissimi in Germania ed in altre nazioni.”
“Il problema è che quando le cose funzionano, non se ne parla. La cosa più assurda è stato leggere, qualche giorno fa, un post di un ex ministro sulla regolarizzazione di seicentomila migranti, c’è però un piccolo inghippo. Cinque/sei mesi fa, lo stesso signore ha detto che non erano seicentomila, ma novanta. Allora, prima erano seicentomila, una volta ministro si sono ridotti improvvisamente a novanta e adesso sono di nuovo seicentomila.” – continua Amodeo – “È il momento di regolarizzarli, perché 1/3 del nostro raccolto, senza il loro lavoro, andrà perso. In Sicilia, così come in Calabria, tantissimi giovani hanno lasciato la campagna da vent’anni per andare in città e non torneranno indietro. Abbiamo bisogno di gente che coltivi la terra e che sia capace di farlo. Quando lo capiremo, sarà tardi.”
di Karola Sicali


Come 'Lieti Calici' abbiamo sempre denunciato lo sfruttamento nell'agricoltura da parte dei caporali e delle agromafie. Continueremo a farlo, difendendo un'agricoltura sana, giusta, pulita ed etica.

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