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sabato 29 agosto 2020

Su La Stampa di oggi Paolo Massobrio assaggia i vini prodotti a Costa Vescovado seguendo i dettami del biologico e del biodinamico


 Oggi su La Stampa Paolo Massobrio parla di Timorasso, un vino da uve quasi in via d’estinzione, che il padre di Walter Massa conservava nel suo vigneto come uva da tavola. Fu proprio Walter Massa a rilanciare questo vino che oggi annovera tanti produttori nel Tortonese. E, tra questi, Massobrio ha scoperto Andrea Tirelli che, a 27 anni, ha investito nell'azienda agricola di suo zio a Costa Vescovato, applicando i dettami del biologico e del biodinamico.


Tra i suoi vini spicca il Derthona Timorasso 2016, di colore ambrato, con note di pesca e di albicocca, di cui Massobrio dice: "È un Timorasso che sprigiona tutta la sua complessità, con sfumature di miele di castagno ed erbe officinali; ha un impatto rotondo e quasi dolce ma poi chiude secco con il suo accento minerale".




Tra gli altri vini il Colli Tortonesi Cortese “Muntà” 2016, il cru “Terra Pura” 2013 da uve barbera in purezza e il “Druid” 2016, un rosso da uve freisa. Tutti da scoprire.



 

A proposito di Timorasso ... di Walter Massa

Dagli anni ‘80 coltivo il timorasso e ne vinifico le uve. Penso che anche per questa varietà, sia giunto il tempo di fare alcune considerazioni in qualità di produttore che con mille motivazioni ha creduto nelle enormi potenzialità di questo vitigno, mi piace ricordare le discussioni con colleghi, appassionati, ricercatori, anziani agricoltori, ristoratori, enotecari, giornalisti sul senso e sul merito di dedicare energie ad un vitigno, pressoché sconosciuto, sia sotto il profilo enologico che di mercato, nel momento storico in cui la realtà enologica piemontese stava raggiungendo con altri vitigni la sua giusta dimensione anche nel campo dei vini bianchi di alta qualità, grazie al successo su scala internazionale del Cortese (soprattutto gavi), all’esplosione a livello nazionale dell’arneis ed all’affermarsi su mercati prestigiosi di alcuni produttori con vini bianchi ottenuti da vitigni chardonnay, riesling, sauvignon blanc. L’ aver creduto nel timorasso si può spiegare nel fatto che, detto vitigno che da sempre fa parte della cultura del mio territorio, “forse” non ha mai avuto grande diffusione in quanto nelle zone altamente vocate, si dava preferenza ad uve a bacca nera (soprattutto barbera) e che il momento storico di interesse per i vini bianchi è coinciso con l’esodo della campagna in alta Val Curone, alta Val Grue e Val Ossona, culle naturali di coltivazioni e produzione del timorasso. Negli anni 70 le aziende agricole locali presenti sul mercato, dovendo aumentare l’offerta dei vini bianchi, hanno puntato sul vitigno cortese, che rispetto al timorasso, garantisce una maggior generosità per ceppo, minori esigenze colturali e una più facile reperibilità di barbatelle. In seguito a queste considerazioni e confortato dai più sulle potenzialità qualitative del timorasso, verso la metà degli anni 80 ho deciso di cambiare radicalmente gli orientamenti produttivi della mia azienda puntando su una gamma altamente rappresentativa della realtà della mia collina e del territorio su cui insistono i vigneti, ho pensato che, poter usufruire di un vitigno autoctono per produrre un vino bianco di grande personalità e proporlo ad un mercato sempre più influenzato da prodotti omologati, poteva di essere di grande aiuto per collaborare con quei professionisti del gusto il cui scopo primario è la totale ricerca della qualità, identità ed autenticità di ciò che propongono. Il primo raccolto di timorasso vinificato in purezza, risale alla vendemmia del 1987, da allora si sono susseguiti dei raccolti eterogenei che hanno messo alla prova le potenzialità del vitigno. I risultati sono sempre stati molto interessanti, ho sempre promosso le uve delle diverse annate, tranne che per quelle della vendemmia del 1989, danneggiate dalla grandine. La qualità del vino ottenuto ha risentito dell’inesperienza a vinificare e gestire questa varietà, infatti, non sono assolutamente soddisfatto delle vendemmie 1989 1991 e 1994, mentre tutte le altre hanno espresso una qualità sicuramente eccellente in grado di ripagare dei momenti di sconforto e delle tribolazioni che ho vissuto. Con il raccolto ‘95 dopo aver capito che il vino ottenuto con il timorasso si esprime al meglio alcuni anni dopo la vinificazione ho deciso di porre in vendita “Costa del vento” 18 mesi dopo la vendemmia.
Fortunatamente, in questi anni, altre aziende hanno creduto nella potenzialità ed espressione di territorio di questo vitigno, oggi è possibile fare degustazioni comparative con altri vini ottenuti dal timorasso. Detti produttori che mi onora citare, operano nelle valli costituenti la collina Tortonese e sono: Dino Mutti a Sarezzano, Paolo Poggio a Brignano Frascata, i F.lli Mandirola a Casasco, Maurizio Bruno a Monleale, Enio Ferretti a Carezzano, Enzo Canegallo a Spineto Scrivia, Roberto Semino ad Avolasca, Luigi Boveri e Daniele Ricci a Costa Vescovato, Elisa Semino e Claudio Mariotto a Vhò, Stefano Daffonchio a Berzano. Nelle vicine valli del novese il timorasso viene interpretato dall’Azienda Morgassi Superiore di Gavi e dalla Cooperativa Valle Nostra che da uve prodotte in Val borbera propone “Sassobraglia”. Le aziende Valli Unite Coop di Costa Vescovato e Cascina Degli Ulivi di Novi Ligure utilizzano il Timorasso in assemblaggio con altre uve bianche per ottenere due vini prestigiosi: Montessoro e Ademùa. Di notevole importanza e gratificazione è il fatto che alcuni docenti del diploma in enologia della facoltà di agraria dell’università degli studi di Torino abbiamo incentivato e seguito con particolare attenzione durante le annate agrarie 1995 e 1996 le tesi universitarie di Luca Caramellino e Eugenio Ciccarelli sul timorasso sia in vigna che in cantina. Detti studi sono stati resi possibili grazie alla disponibilità delle aziende precedentemente citate. Ad oggi la critica enologica ha dato spazio e recensioni a vini ottenuti con tale vitigno, sicuramente l’obbiettivo che la critica lo elevi a vino bianco piemontese con la parentela più prossima ai grandi vini rossi che il Piemonte da sempre esprime. Significativo è l’interesse che ha stimolato nel “eleveur” piemontese, Franco M. Martinetti che sta applicando le proprie esperienze ed energie vinificandone le uve. Posso quindi affermare che dopo, anni di raccolti e sperimentazione in vigna ed in cantina, il timorasso è da me considerato alla pari degli altri vitigni che coltivo. Da oggi l’impegno è di introdurlo nelle migliori carte dei vini, non come “bestia rara“ma come ambasciatore di autenticità.

 

ANDREA TIRELLI

Costa Vescovato (Al)
via XX Settembre, 41
tel. 340 2326134

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San Fereolo - vignaioli in Dogliani - NICOLETTA BOCCA

    


Chi sono

Mi chiamo Nicoletta Bocca. Ho cominciato questo mestiere agli inizi degli anni novanta cercando di imparare dai miei vicini tutto quello che potevo. Arrivavo da Milano e non sapevo nulla della campagna, ma mio padre ha sempre amato bere bene e ogni anno ci portava tutti in Langa - terra che custodiva memoria della sua storia partigiana - per farci capire come stavano le cose. Pranzi e bevute memorabili, gli acquisti rituali di tume, tartufi e vini, la conoscenza con i produttori. Al vino sono arrivata prima come bevitore e questo non l’ho mai dimenticato, quindi mi sono rimaste impresse le qualità che un cliente affezionato può cercare in un vino: durata nel tempo, tenuta a bottiglia aperta, consistenza ed eleganza, verità. Con il tempo, mano a mano che imparavo il mestiere ho cercato di ritagliarmi uno spazio interpretativo mio, di trovare una corrispondenza fra il carattere che ho e quello che facevo, di dare uno spessore e un senso alla frase ‘vini con personalità’. Spero di aver trovato la giusta strada.


I vini

I nostri vini sono espressione dei vitigni tradizionali del Piemonte, dolcetto, barbera e nebbiolo, più la sorpresa di un bianco ‘fuori zona’. Le uve si trasformano con vinificazioni lente e mai forzate. Sono vini che esprimono una potenza capace di non tramutarsi in arroganza, che cercano di unire gli aspetti più materici dei sentori di buccia e di terra, a quelli di una pura forza verticale presente negli aromi svincolati dal frutto primario. Sono come un fuoco di tralci di vigna che trasforma la materia in luce, calore ed energia. Riflettono nel bene e nel male il carattere di chi li ha aiutati a nascere: per questo non sono compiacenti e non cercano un’approvazione acritica. Potrebbe capitarvi di trovarli al primo impatto richiusi su loro stessi, un po’ solitari, scostanti, prima che diventino familiari e comincino a disvelare complessità e promesse di durata ed evoluzione nel tempo. Sono compagni fedeli che riflettono un’impressione di vecchio Piemonte come terra di tesori nascosti da pudore, riservatezza e caparbia.


Valdibà

DOLCETTO DI DOGLIANI DOC 2009_


DOLCETTO
Il dolcetto deve il suo nome alla delicatezza dell’uva, una delicatezza difficile da amministrare sia in vigna che in cantina. Il piacevole ed equilibrato sentore di mandorla che ritrovate nel vino viene dai tannini racchiusi nei semi dell’uva e non è percepibile all’assaggio, come avviene invece nei nebbioli dove i tannini sono nella buccia. Nemmeno l’acidità, così evidente nel barbera, può infastidirvi. Il dolcetto è invece un'uva deliziosa da assaggiare, estremamente delicata nel gusto. Se vogliamo esaltarne questo aspetto di fragranza e levità, dobbiamo vinificarlo pensando ad un vino giocato sul frutto e sull’immediatezza.

IDEA
Un’idea difficile da accettare perché in contrasto con il mio carattere. L’idea di un vino pensato come momento di piacevolezza dedicato al bevitore e non come pura espressione della ricerca del produttore. Ma anche la gioia di dare una versione classica del dolcetto che portasse in dote alla denominazione la vinificazione naturale propria di questa cantina. Non più un San Fereolo in tono minore, ma un vino diverso che cerca la strada di una semplicità non necessariamente banale.

LE VIGNE
Il Valdibà è prodotto esclusivamente con uve dolcetto provenienti da vigneti dai dieci ai trenta anni d’età. I terreni sono situati nel comune di Dogliani, identificati nelle vigne baraccone e San Fereolo, che vanno dai 400 ai 500 metri, in esposizione da Sud-est a nord ovest. Sono terre di medio impasto a prevalenza calcarea situate nella sottozona di Valdibà, capaci di dare vita a vini tannici ed eleganti. Il sistema di allevamento è un Guyot semplice, con densità diverse a seconda del periodo di impianto, che vanno dai 4000 ai 5000 ceppi per ettaro. Gli appezzamenti sono coltivati secondo i principi della biodinamica che prevede un diverso approccio alla fertilità del suolo e l’utilizzo di rame e zolfo in quantità molto ridotte. La resa in vino per ettaro può variare a seconda dell’annata dai 40 ai 50 ettolitri.

VINIFICAZIONE
Raccolto a mano e portato in cantina in cassette da venti chili nella seconda decade di settembre, il dolcetto Valdibà viene vinificato in acciaio lasciando libero lo sviluppo della temperatura ma badando però che non superi mai i 29 gradi. Il vino è vinificato senza l’aggiunta di lieviti selezionati o di altri additivi enologici che potrebbero alterare la delicata espressione del terroir e il lavoro di metamorfosi operato dai lieviti indigeni. La durata della macerazione e della fermentazione è intorno agli otto giorni. Il vino è svinato prima di arrivare alla fermentazione completa degli zuccheri.

AFFINAMENTO
Finita la fermentazione alcolica segue quella malolattica avviata solo attraverso il controllo della temperatura di cantina e non tramite inoculo di batteri. Alla fine di questa seconda fermentazione, il vino viene tenuto sulle fecce fini mantenute in sospensione per quattro mesi. In seguito viene data una leggera chiarifica indispensabile per l’imbottigliamento di un vino così instabile, perché così ricco di materia colorante, come il dolcetto. Imbottigliato nell’estate successiva alla vendemmia, il Valdibà ha poi un affinamento di sei mesi in bottiglia.

ANNATA

Il 2007 è stata una annata meravigliosa in campagna. Molto semplice da affrontare, ha portato una vendemmia anticipata di dieci giorni grazie ad un ultimo e inaspettato periodo di bel tempo a cavallo tra agosto e settembre, lasciando quindi una temperatura ottimale di maturazione per tutta l’estate, senza eccessi di calore. Uve vendemmiate nella seconda decade di settembre con gradazioni zuccherine elevate, ma con profumi fruttati di grande freschezza per vini di linearità esemplare. Gradazioni elevate, oltre 14 gradi, ma sensazione di vino piacevolmente fresco, mai pesante.
CARATTERISTICHE
Una versione classica del Dolcetto di Dogliani in cui si ritrovano tutte le caratteristiche consuete. Il frutto primario in evidenza, la vinosità, l’immediatezza, il retrogusto piacevolmente ammandorlato. In particolare nel 2007, rubino dai contorni violacei, intenso e importante: ciliegia matura, mirtillo, mora e violetta con nota vegetale. Al palato appaga per polpa e succo, equilibrato, con tannini non invadenti e fini che fanno da sfondo. Epilogo succoso e lungo.

VALDIBà 2006

Vino introverso che s’apre a distanza su sentori freschi e floreali.
Tannino rugoso dotato di matrice sottile, lunga, persistente e lineare.
Il 2006 è stata un annata che si è svolta con regolarità estrema e non lasciava presagire un finale così vorticoso. Alla fine di agosto e inizio di settembre un caldo intenso accompagnato dalla giusta dotazione idrica ha permesso un’accelerazione della maturazione inaspettata. Vendemmia iniziata di corsa tra il 6 e l’8 di settembre ma non paragonabile al 2003 per la diversa disposizione e durata delle temperature. Difficile in questa annata l’interpretazione di un dolcetto classico e fruttato.



San Fereolo

DOGLIANI DOCG 2006_

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DOLCETTO 
Un vitigno ancora da scoprire, con dei margini notevoli di ampliamento espressivo. Per motivazioni storiche e per conoscenze di cantina quest’uva è stata a lungo considerata in grado di dar vita esclusivamente a vini semplici, fruttati e di espressività immediata. A Dogliani pensiamo invece che, lavorando per far nascere un vino di struttura, il dolcetto possa stupire per la sua capacità di tenuta nel tempo e per il suo carattere piemontese di austerità e di tannicità levigato dalla sua delicatezza.

IDEA
Un’idea completamente diversa del Dolcetto fondata sulla ostinata convinzione che le capacità espressive di questo vitigno vadano ben oltre a quella che è la consuetudine del vino immediato.
Un’idea che esalta i caratteri ‘nebbiolo’ di quest’uva, ricercando la sfida con i tannini del dolcetto e i suoi profumi inconsueti. Curato in vigna e vinificato in cantina per avere prospettive di durata e per esprimersi, mutando, nel tempo. Va giudicato con un altro metro, per la sua capacità di stupire.

LE VIGNE
San Fereolo è prodotto con la sola uva dolcetto, proveniente da vigne vecchie dai 40 ai 70 anni. Il sistema di allevamento è un Guyot semplice, con densità diverse a seconda del periodo di impianto,che vanno dai 4000 ai 5000 ceppi per ettaro. I terreni sono situati nel comune di Dogliani, identificati nelle vigne San Fereolo, Austri, Costabella, Cerri Sottani che vanno dai 400 ai 500 metri in esposizione da sud-est a sud ovest. Sono terre di medio impasto a prevalenza calcarea, situate prevalentemente nella sottozona di Valdibà e Valdiberti, capaci di dare vita a vini tannici e strutturati Gli appezzamenti sono coltivati secondo i principi della biodinamica che prevede un diverso approccio alla fertilità del suolo e l’utilizzo di rame e zolfo in quantità molto ridotte. La resa in vino per ettaro può variare a seconda dell’annata dai 35 ai 45 ettolitri.

VINIFICAZIONE
Raccolto a mano e portato in cantina in cassette da venti chili questo dolcetto viene vinificato in tini di legno, senza lieviti selezionati e senza aggiunte di additivi. La temperatura viene lasciata senza controllo sino al tetto dei 33 gradi privilegiando non le componenti di frutto primario ma l’estrazione necessaria allo sviluppo di aromi più complessi. A seconda dell’annata la macerazione può variare dai 10 ai 20 giorni.


AFFINAMENTO
Finita la fermentazione alcolica segue quella malolattica avviata spontaneamente. In seguito il vino viene travasato in legni di diverse dimensioni, dai 7 ai 40 ettolitri, e viene mantenuto sulle fecce fini in sospensione per sei mesi con dei batonnage la cui frequenza va decrescendo con il periodo di affinamento. Il Dogliani viene gradatamente separato dalle fecce attraverso travasi, fino ad una leggera chiarifica prima dell’imbottigliamento che avviene il secondo anno successivo alla vendemmia. Un anno di affinamento in bottiglia.


ANNATA

Delicato e lineare, dove la presunta fragilità data dal tempo viene respinta da un tannino estroverso. Note terziarie si contrappongono a sentori ancora freschi mentre la lunghezza si sprigiona in bocca lungo tutto il palato in una tensione verso l’alto. Il 2001 è stata un’annata classica, in cui calore, pioggia e luce si sono alternati senza eccessi ma con quella misura aurea che permette l’espressione di una austerità piemontese tipica. Ancora centrato su uve provenienti per lo più dai vigneti di San Fereolo, caratterizzati dalla tipica vena tannica della zona, con una vinificazione tradizionale portata a secco senza residui in modo lineare e regolare.


SAN FEREOLO 2005

Delicato e lineare, dove la presunta fragilità data dal tempo viene respinta da un tannino estroverso. Note terziarie si contrappongono a sentori ancora freschi mentre la lunghezza si sprigiona in bocca lungo tutto il palato in una tensione verso l’alto. Il 2001 è stata un’annata classica, in cui calore, pioggia e luce si sono alternati senza eccessi ma con quella misura aurea che permette l’espressione di una austerità piemontese tipica. Ancora centrato su uve provenienti per lo più dai vigneti di San Fereolo, caratterizzati dalla tipica vena tannica della zona, con una vinificazione tradizionale portata a secco senza residui in modo lineare e regolare.

SAN FEREOLO 2004

Delicato e lineare, dove la presunta fragilità data dal tempo viene respinta da un tannino estroverso. Note terziarie si contrappongono a sentori ancora freschi mentre la lunghezza si sprigiona in bocca lungo tutto il palato in una tensione verso l’alto. Il 2001 è stata un’annata classica, in cui calore, pioggia e luce si sono alternati senza eccessi ma con quella misura aurea che permette l’espressione di una austerità piemontese tipica. Ancora centrato su uve provenienti per lo più dai vigneti di San Fereolo, caratterizzati dalla tipica vena tannica della zona, con una vinificazione tradizionale portata a secco senza residui in modo lineare e regolare.

SAN FEREOLO 2003

Delicato e lineare, dove la presunta fragilità data dal tempo viene respinta da un tannino estroverso. Note terziarie si contrappongono a sentori ancora freschi mentre la lunghezza si sprigiona in bocca lungo tutto il palato in una tensione verso l’alto. Il 2001 è stata un’annata classica, in cui calore, pioggia e luce si sono alternati senza eccessi ma con quella misura aurea che permette l’espressione di una austerità piemontese tipica. Ancora centrato su uve provenienti per lo più dai vigneti di San Fereolo, caratterizzati dalla tipica vena tannica della zona, con una vinificazione tradizionale portata a secco senza residui in modo lineare e regolare.

SAN FEREOLO 2001

Delicato e lineare, dove la presunta fragilità data dal tempo viene respinta da un tannino estroverso. Note terziarie si contrappongono a sentori ancora freschi mentre la lunghezza si sprigiona in bocca lungo tutto il palato in una tensione verso l’alto. Il 2001 è stata un’annata classica, in cui calore, pioggia e luce si sono alternati senza eccessi ma con quella misura aurea che permette l’espressione di una austerità piemontese tipica. Ancora centrato su uve provenienti per lo più dai vigneti di San Fereolo, caratterizzati dalla tipica vena tannica della zona, con una vinificazione tradizionale portata a secco senza residui in modo lineare e regolare.






https://www.sanfereolo.com/ita/nicoletta.html









giovedì 27 agosto 2020

MARINO COLLEONI - MONTALCINO - 'PODERE SANTA MARIE' E I CAPRIOLI... UN RACCONTO COMMOVENTE CHE APPARTIENE ALLA SENSIBILITA' DI MARINO, PER CHI LO CONOSCE


IERI SERA VERSO QUEST'ORA, APPARE UN POST DI MARINO COLLEONI SU FB, CHE SOLITAMENTE NON USA MAI. 

MA PER SCRIVERE UN POST, HA QUALCOSA DI IMPORTANTE DA COMUNICARTI. 

ED IN EFFETTI, STRAFOTTENDOSENE DELLA SUA VIGNA E DEL SUO VIGNETO, IL SUO POST CI PARLA DI DUE CAPRIOLI ALLA RICERCA DI ZUCCHERI E ACQUA PER NUTRIRSI.

    NON VOGLIO SCADERE NELLA RETORICA, PERCHE' BMARINO, NON FA UN OTTIMO  - UNO DEI MIGLIORI BRUNELLI ITALIANI - VINO. 

MA IL SUO VIGNETO E' PARTE DI UN TUTTO: DELLA SUA VITA E DELLA VITA DEL PIANETA. 

ECCO COSA DISTINGUE UN AUTENTICO VIGNAIOLO NATURALE DA TUTTI GLI ALTRI CHE NON FANNO VINO, MA VIOLENTANO IL CONCETTO STESSO DI VINO.

COMUNQUE QUESTO E' IL POST DI IERI DI MARINO COLLEONI, DAL QUALE SI EVINCE LA SUA SENSIBILITA'

ED IO SONO FELICE DI OCCUPARMI DI VIGNAIOLI SENSIBILI COME LUI

TVB MARINO <3


 Seduto, alle 8 di sera, fuori dalla cantina, giusto all’imbrunire. Due Caprioli, madre e figlio/a, chi lo sa. Salgono una piccola salita, verso il vigneto. Trovano il cancello chiuso a riparare le vigne, da loro. Li osservo, si meravigliano di quell’impedimento (perlomeno ai miei occhi appare così) si soffermano e mi vedono. Fuggi fuggi, se ne vanno. Eppure non mi sovviene alcuna soddisfazione ma al contrario tanta pena. Settimane e settimane di siccità, erba o arbusti che seccano, poco cibo, poca acqua, forse niente. Quanto sollievo e ristoro avrebbero loro dato i miei grappoli (cosiddetti miei, in quanto per natura sarebbero della vite). Mi rimane un amaro senso di egoistica tristezza. E non passa.

mercoledì 26 agosto 2020

STORIE DI VINI, DI DONNE, DI BARBERA



 STORIE DI VINI, DI DONNE, DI BARBERA

È difficile scrivere di Anna Laudisi e di
Az Agricola Cascina Boccia
senza scrivere banalità e senza restituire le suggestioni più emotive, che in quanto tali restano intime.
Anna governa vigna, cavalli, figli, cantina, galline e orto, e tante altre cose, con infinita passione e altrettanto disordine, con competenza e curiosità, con spontaneità ed enorme fermezza, e con molta luce, tanta tanta luce, anche dove sembra tutto grigio.
La sua Barbera è femmina in modo austero e profondo, è seducente e convincente, è presente e allo stesso tempo proiettata in avanti.
Sì, anche il Dolcetto è buono, è addirittura Ovada docg, ma la Barbera però...
La cantina di Anna è molto piccola, come tutte le cose di cui si occupa, che tutte insieme fanno un angolo di Paradiso.
Arrivi a casa sua solo se insisti a cercarla, perché non ci sono cartelli e il navigatore non ti ci vuole portare, e quando arrivi non si capisce neanche se sei di troppo o no... poi non te ne andresti più.
Il vino, che cosa buffa... tutti lo bevono, ne parlano, lo degustano, lo fotografano, e poi 2 mesi di covid lasciano stipate nelle cantine dei piccoli vignaioli le bottiglie invendute, che manco c'è spazio per stipare il vino nuovo.
Così avrei voluto avere un camion e tanti soldi per portarmi via cartoni di Barbera a decine, e poi invitare tutti e dire... sentite com'è buono, la fa Anna, una contadina di Genova che ha gli occhi azzurri, i figli belli, e una casa abbracciata dall'edera.

Di Loris Antonelli di RESISTENZE NATURALI

martedì 25 agosto 2020

SARDEGNA - Tenute Dettori - Località Badde Nigolosu - Sennori - SS -

 

“Se essere Homo Sapiens Sapiens significa guardare ma non osservare, mangiare ma non gustare, sentire ma non ascoltare, “fiutare un odore” e non annusare… allora sono fiero di essere Homo Sapiens e basta. Mi sento animale alla pari con gli altri animali. Parte del pianeta Terra e dell’Universo. Voglio essere animale con la minima razionalità indispensabile alla mia libertà. Per questo faccio il vino… è il metodo che conosco per farmi sentire quello che sono: istintivamente animale”.

“Io non seguo il mercato, produco vini che piacciono a me, vini del mio territorio, vini di Sennori. Sono ciò che sono e non ciò che vuoi che siano”.

1996 – Vignaioli Naturali In Sardegna


Selezione manuale di tutti i grappoli fatta sul tavolo in acciaio costruito appositamente. L’uva viene diraspata ma non pigiata e viene lasciata a macerare nei tini di Cemento senza aggiunta alcuna di solforosa. La durata della macerazione dipende dalle caratteristiche del mosto. Può durare dai due ai venti giorni. Macerazioni più lunghe non appartengono alla nostra cultura. La svinatura avviene sempre a mano per preservare la buccia. Il mosto prosegue il suo cammino nelle piccole vasche di cemento sino al suo imbottigliamento, di solito dopo due – tre anni.

In Cantina non è stato utilizzato alcun prodotto di chimica di sintesi oltre allo zolfo. Non sono stati aggiunti lievi, enzimi ed ogni altro coadiuvante della vinificazione e maturazione del vino. Non filtrato, non chiarificato, non barricato. Lasciare riposare dopo il trasporto, lasciare ossigenare nel bicchiere, eventuali residui e CO2 sono naturali. Ogni bottiglia può essere diversa. Non usiamo vitigni – vini internazionali per addomesticare i nostri vini.

INGREDIENTI: UVA, ZOLFO (A VOLTE).

Siamo piccoli artigiani del Vino e della Terra. Scusate ma non seguiamo il mercato, produciamo vini che piacciono a noi, vini della nostra cultura. Sono ciò che sono e non ciò che vuoi che siano. Tutto questo perché siamo semplicemente dei piccoli artigiani di vino che non fanno più di 45000 bottiglie quando la natura è generosa.

I VINI

Nascono dall’eredità storica lasciataci da chi ci ha preceduto. Sono prodotti solo da uve coltivate da nostri vigneti storici e tradizionali. Sono dei cru: da ogni vigna nasce un vino: il Dettori Bianco dalla vigna di Vermentino; il Tuderi, il Tenores ed il Dettori dalla vigna del Cannonau; il Chimbanta dalla vigna della Monica; l’Ottomarzo dalla vigna del Pascale; il Moscadeddu dalla vigna del Moscato. I vini vengono lavorati “in purezza” pertanto: 100% Cannonau, 100% Monica, 100% Pascale, 100% Vermentino, 100% Moscato. La produzione totale annua va dalle 20.000 bottiglie alle 45.000.

Nell’annata 2008 abbiamo prodotto soltanto 2.000 bottiglie a causa della peronospora. Pur vedendo tutta l’uva scomparire in pianta siamo rimasti fedeli alla nostra tradizione: non usare veleni. Meglio perdere l’uva di una stagione che inquinare la nostra Terra.
Nel 2006 e nel 2007 abbiamo creato il Chimbanta & Battoro da una parte del vigneto della Monica, andato in appassimento naturale in pianta. Un vino passito molto diffuso tanti anni fa.
Negli ultimi anni abbiamo acquistato una bellissima vigna ed impiantato nuovi vigneti per la produzione del vino Renosu. L’annata 2006 del Renosu è stato prodotto interamente con il Dettori 2006 non ritenuto all’altezza.

Tutto questo perché vogliamo che i nostri vini rappresentino l’essenza del nostro Terroir. Quello reale, vero. Creiamo Vini di Tradizione e di Territorio. Vini liberi. Liberi di esprimere se stessi, liberi di esprimere appieno un territorio poiché sono una semplice spremuta d’uva fermentata. Non sono vini schiavi delle logiche commerciali e di marketing. Non sono vini studiati e confezionati ad arte per un mercato importante.

PERCHÈ NON USIAMO LA DOC

Tutte le definizioni ufficiali del termine Terroir in sintesi affermano lo stesso concetto: “Terroir è un’area geografica delimitata da cui provengono prodotti della Terra che sono unici, originali ed inimitabili, grazie all’interazione di fattori geologici, climatici, culturali ed umani”.

Terroir è un’area geografica delimitata. È uno dei motivi per cui non sono d’accordo sulle Doc generaliste italiane. Ad esempio cosa vuol dire Cannonau di Sardegna Doc? La Sardegna è considerato dai geologi e biologi un vero e proprio “Continente”. Il Cannonau prodotto dai tre diversi vigneti della mia azienda è diverso l’uno dall’altro. Figuriamoci le diversità che possono esserci tra il Cannonau prodotti in zone distanti tra loro centinaia di chilometri. La Doc è nata con uno spirito nobilissimo ma col passare degli anni le cose sono cambiate: Vini sono vendibili solo perché Doc e non più per la stima e fiducia del Produttore e anzitutto per la reale qualità del vino.

Per tale ragione abbiamo deciso di non utilizzare la D.O.C. ma di avvalerci di una denominazione ben delimitata: Romangia I.g.t. Romangia è un’area geografica delimitata a cui appartiene il Comune di Sennori e Sorso.

La definizione di Terroir afferma anche che: “…prodotti della Terra unici, originali ed inimitabili”. Questo significa che un vino di Terroir dovrebbe essere riconoscibile. Sempre più spesso bevo vini che difficilmente riesco a capirne l’origine. Sarà un vino del nord Italia? Del Sud? Australiano? L’uva è sempre diversa ma i prodotti di ausilio alla produzione di uva e vino: quali concimi per il vigneto, enzimi, lieviti, tannini, e tutti gli altri prodotti sono gli stessi per tutto il mondo.

L’UVA CANNONAU

Vitigno Autoctono Sardo. Sino a pochi anni fa si riteneva che il Cannonau fosse un modo diverso di chiamare il Grenache francese, il Garnacha spagnolo e del Tocai Rosso veneto. Finalmente negli ultimi anni anziché basarsi su presunzioni sono stati eseguiti degli studi storico-sociali e sopratutto scientifici che hanno evidenziato due aspetti fondamentali: a) il Cannonau ed il Grenache condividono soltanto l’82% del patrimonio genetico (Università di Sassari Nieddu, ET AL. C.S.); b) il Cannonau ha origine in Sardegna prima ancora che nel resto dell’Europa. Numerosi sono gli atti ufficiali che testimoniano ciò. Uno di questi, l’atto del notaio Bernardino Coni di Cagliari in un atto del 1549 menziona il vino Cannonau, mentre il termine Garnacha, riferito ad un vino rosso spagnolo, compare solo due secoli più tardi. Il Cannonazo di Siviglia è un vitigno inesistente. Per anni si è pensato che il Cannonau derivasse da questo vitigno, ma fu solo un errore di trascrizione del “Canocazo”, vitigno bianco andaluso.

L’UVA VERMENTINO

Si è sempre pensato ad una provenienza ligure passando per la Corsica. Niente di più errato. Recenti acquisizioni della biologia molecolare (Arroyo Garcia, ET AL. 2006) evidenziano un’origine orientale. La prima civiltà Europea ad aver avuto rapporti con l’Oriente è stata la Sardegna a partire dal 2.500 a.c.


L’UVA MOSCATO

Moscato Bianco. L’origine è orientale. E’ risaputo che questo vitigno è uno dei più antichi in Sardegna.

L’UVA MONICA

Vitigno autoctono sardo.

L’UVA PASCALE

Vitigno Autoctono Sardo. Il Pascale anche se è chiamato “Pascale di Cagliari” è coltivato nel nord della Sardegna. È anche un’ottima uva da tavola.

 

http://www.tenutedettori.it/

Si, in sostanza, la cultura contadina che è la cultura popolare, è stata buttata a mare. Vittorio de Seta (1923-2011)

 


                        Innestini a Cirò e i mestieri del vino in via d’estinzione

Partecipare con lo sguardo esterno all’innesto in campo a Cirò è un’esperienza agronomica sempre illuminante a cui ho avuto modo di assistere per la seconda volta negli ultimi anni grazie a Cataldo Calabretta, viticoltore a Cirò e a Rocco Pirìto, innestino sopraffino.

Tra le pratiche vitivinicole quella dell’innesto “a gemma dormiente” fatto ad agosto è forse la più ardua, la meno semplice da tramandare. È un mestiere oggi sempre più anacronistico che si impara fin dalla tenera età, affiancando in vigna il nonno, il papà o un altro anziano disposto a farsi rubare l’anima con gli occhi. “Da ragazzi”, dice in cirotano stretto un innestino anziano accovacciato su un cuscino impolverato mentre a capo chino con estrema naturalezza e con maestria da orafo è intento all’incisione del sarmento, concentrato sull’innesto della gemma, sulla legatura con la ràfia assieme a qualche tralcio protettivo per far attecchire la gemma calcificandola al taglio sul piede della vite in maniera tale da farla combaciare alla perfezione alla nicchia intarsiata sul portainnesto: “Da ragazzi era un lavoro che facevamo gratuitamente, cioè non ci pagavano affatto!”L’innesto a gemma (scudetto o zufolo) detto anche “alla majorchina”, viene eseguito prevalentemente al Sud, dove l’anticipo della maturazione del legno consente di raccogliere sarmenti “in succo” con gemme già parzialmente lignificate. Maiorchina starà ad indicare l’origine insulare ispanica ai limiti del Mediterraneo occidentale, di questa pratica atavica. Tra le tante forme di innesto, la maiorchina è una tecnica antichissima di chirurgia vegetale che richede grande perizia, nervi saldi, sangue freddo, mano decisa ma delicata, esecuzione rapida. Quest’arte di biotecnologia empirica assai arcigna da trasmettere, è destinata a scomparire con gli ultimi vecchi innestini a cui è venuto a mancare il vivaio generazionale dei più giovani interessati alla continuità di questa ancestrale tecnica agronomica illustrata dai gloriosi trattati di Varrone (116 a.C. – 27 a.C.) e del Columella (4 d.C. – 70 d.C.). Un signore bulgaro segue gli innestini sul campo per farsi insegnare la difficile arte chirurgica. Scruta ogni gesto minimo delle mani. Assorbe il ritmo di lavoro. Seleziona a occhio le gemme adatte all’intaccatura sull’apparato linfatico del portainnesto, in attesa smaniosa di poterlo fare a sua volta con le proprie mani, centinaia di innesti al giorno. Memorizza ogni dettaglio anche meno significativo all’apparenza. Un fischio stridulo quasi un singulto, ad esempio, deve suonare come un singhiozzo secco che emette la lama del coltellino da innesto quando fende il sarmento per cavarne la gemma. Ferro che affonda reciso nel legno: se non si sente quel sibilo aspro e gracchiante significa soltanto che si è tagliato male.

Da un’intervista concessa poco prima di morire, Vittorio De Seta documentarista tra i più grandi della storia del cinema (vedi In Calabria del 1993) interrogato in merito al lavoro manuale riafferma il concetto di reificazione del buon vecchio Marx, dal tedesco Verdinglichung cioè «materializzazione»:

Perché il lavoro manuale è creativo. Uno fa un lavoro. Vengono qui gli operai, una siepe, è finita e la vedi. Ma l’alienazione consiste nel fatto che ci sono degli operai in certe fabbriche meccaniche, che fanno dei pezzi che non sanno neanche che cosa sono, dove vanno. Se sono pezzi d’automobile o pezzi di un qualsiasi altro meccanismo.

Osservare Rocco nel suo lavoro di precisione estrema a intarsio, con quelle mani aspre eppure rassicuranti mentre ghermisce la vite tra lo strangolamento e la carezza, è un vero e proprio spettacolo di paleografia agricola. È come assistere alla testimonianza vivente di una civiltà contadina antichissima che fatica a sopravvivere o anche solo a protestare a voce sommessa la propria presenza nel mondo davanti alla slavina devastante della macchinizzazione industriale. Un valanga omologatrice inarrestabile delle vite umane tesa unicamente da decenni ad appiattire il gusto, ad azzerare le opportunità di scelta, ad annichilire il libero arbitrio.
Eppure finché c’è Rocco e ci sono gli innestini a Cirò c’è speranza per la viticoltura e per il vino in generale non solo di Calabria ma del mondo intero.

lunedì 24 agosto 2020

LAST WORLDS DI JONATHAN NOSSITER A BOLOGNA IL 31 AGOSTO

 


Anteprima mondiale di Last Words a Bologna, film di chiusura del Cinema Ritrovato, il 31 agosto, presentato dal direttore di Cannes e da alcuni degli attori del film. Ecco un pezzo su Corriere ieri. Il titolo dell'articolo però non è vero...mai detto una cosa del genere....anche se mi piace l'idea che è cosi cattivo che farebbe la fine del mondo.








Marche - SENIGALLIA -AN - Cocco De Pippa ( Fatto a regola d'arte!) DI ALBERTO PANCOTTI.

 

Ho inteso tutto ciò come un’elegia della civiltà contadina scomparsa e come una celebrazione delle sue grandezze e delle sue virtù

Alberto Pancotti

La natura di un vino naturale. Il nostro vino si ispira alle tradizioni millenarie ereditate dalla civiltà contadina. Essere stati contemporanei di persone che “ancora” lo producevano con tecniche e materiali di sempre ha costituito la fonte maggiore di apprendimento e di esperienza. Un vino che nasce dal desiderio di celebrare le grandezze e le virtù di quel mondo e di quell’epoca. Pur essendo a conoscenza delle buone pratiche presenti nella attuale vitivinicultura, abbiamo cercato di ritrovare modalità di coltivazione e di vinificazione che erano state tramandate di generazione in generazione, ritenute però ormai “superate” dalla modernità. Sul finire del secolo scorso, la gran parte dei materiali, delle procedure, degli ambienti hanno subìto un progressivo e inesorabile abbandono: il vimini, il legno, gli ambienti idonei per natura sono stati sostituiti da plastiche, acciai e aria condizionata. Quello che ha permesso un recupero di quelle tecniche e della minuziosa cura di cui esse necessitano in ogni fase della produzione è probabilmente legato alla piccolissima quantità di uve, provenienti esclusivamente dal vigneto di nostra coltivazione. Accanto e oltre al rispetto dei disciplinari previsti dall’agricoltura biologica, vi vengono praticate tecniche nuove e vecchie, queste ultime reintrodotte non senza un meticoloso lavoro.



I VITIGNI: Situato nelle Marche, sulla collina litoranea del Comune di Senigallia (zona del Rosso Piceno), la nostra vigna risale al 2001 e produce uve rosse Montepulciano e Sangiovese (oltre al Merlot, per la parte libera del disciplinare della DOC). In una più ridotta parte del vigneto, è coltivato l’Esino DOC bianco, un uvaggio tra Verdicchio (che entra al 50% ), Malvasia e Trebbiano. Le nostre uve sono certificate biologiche sin dall’inizio della produzione, anche se metodi e disciplinari di coltivazione riferibili all’agricoltura biologica erano stati introdotti in azienda già da tempo. A differenza della viticultura convenzionale dove si preferisce l’inerbimento del terreno e, eventualmente, l’uso di disseccanti chimici sotto il filare, nel nostro vigneto è praticata la vangatura meccanica, annualmente a file alterne. Ciò opera nel contenimento delle erbe spontanee e consente un immagazzinaggio di acqua durante le stagioni più piovose.


Cocco De Pippa ( Fatto a regola d'arte!)



DA Les Caves Italia: Siamo vicini ai nostri amici veneti per il nubifragio che ha colpito ieri le province di Verona, Vicenza e Padova, tra cui alcune vigne della Valpolicella.

 Siamo vicini ai nostri amici veneti per il nubifragio che ha colpito ieri le province di Verona, Vicenza e Padova, tra cui alcune vigne della Valpolicella.

Qui alcune foto da
Monte Dall'Ora
, un posto per noi speciale come Carlo e Alessandra che lo animano.
Forza e coraggio!


tSponmmso4irS hed
 
La grandinata di ieri ci ha colpito al cuore, le vigne e gli ulivi attorno alla cantina sono stati falcidiati. Vedere svanire i frutti di un anno di lavoro a pochi giorni dalla raccolta è dura, ma sappiamo che la terra saprà curare se stessa con il tempo e l'amore che le dedicheremo come sempre. Fortunatamente le altre vigne a Camporenzo e San Giorgio sono state risparmiate. Grazie a tutti gli amici che ci stanno scrivendo in queste ore dedicandoci un pensiero