Post in evidenza

giovedì 13 agosto 2020

Si giudica il vino o il suo autore? Elogio della coerenza e dell’incoerenza di Faro Izbaziri


 Ciò mi spinge a valutare caso per caso, senza sovrapporre griglie ideologiche al vino che sto bevendo.

 Non sono soltanto un ammiratore dei nostri padri della patria vinosi, Mario Soldati e Luigi Veronelli detto 

Gino. Sono un loro devoto. Ammiro la profondità poetica della visione soldatiana – e quella veronelliana in

 sostanziale sovrapposizione, e quella di altre firme illustri via via più vicine a noi nel tempo e nello spazio –,

una visione che si può definire territoriocentrica e vignaiolocentrica. Però per me un buon critico giudica 

il vino e non le persone che lo fanno.

Poiché la personalità del vignaiolo può essere affascinante, la sua filosofia bellissima, le sue strategie astute, il suo rispetto del territorio ferreo, la sua fedeltà al terroir senza ombre, la sua onestà intellettuale ammirevole; e il risultato finale mediocre.

Per Veronelli, se tutte le suddette virtù sono presenti, il risultato non può comunque essere mediocre. Per definizione: “il peggior vino contadino è migliore del vino d’industria”. La trovo toccante, difende con fierezza valori in cui credo, è una forma centrale di resistenza all’omologazione. Ma è in tutta evidenza una visione idealizzata.

Non berti l’etichetta”, recita uno dei primi mantra dell’appassionato. “Non berti il produttore”, aggiungo.

La personificazione del vino, e dell’artista, è un aspetto importante. Soldati di questo se ne fa un modello narrativo. Non ha senso descrivere un vino se non si conosce chi lo fa”. Così Nichi Stefi, apprezzato critico e biografo veronelliano.

Mi scuso ma per me si può descrivere un vino anche se non si conosce chi lo fa. Anzi, vado oltre: per dare un giudizio davvero indipendente in certi casi è meglio che non si conosca chi lo fa. Soprattutto se si opera preparando pubblicazioni come le vecchie e ormai poco amate guide dei vini, e si è costretti ad assaggiare batterie di vini della stessa annata e/o della stessa zona. Altro conto è proporre al lettore il racconto di una singola azienda, di un singolo produttore. In questo caso la narrazione non può ovviamente prescindere da una lettura, per sommi capi o più attenta, del carattere dell’autore.

In altre parole, difendere la voce del territorio – declinata secondo tradizione o rimodellata plasticamente adattandola alla modernità -, fare vini onesti e artigianalilavorare con lealtà, sono valori centrali che cerco con coerenza in un vino. Però questo non mi fa velo, non deve farmi velo se giudico un vino del quale non conosco la storia familiare. Mi serve soltanto sapere da quale zona proviene, e la mia valutazione sulle sue qualità cercherà di essere comunque equilibrata. È incoerente? in parte. Ma seguendo questo metodo, o meglio questa libertà interpretativa, ho scoperto e fatto scoprire decine di vini dei quali non sapevo nulla all’atto della stappatura. Perché un bicchiere di vino è molto eloquente, anche senza la voce del suo artefice.

(Fonte: acquabuona.it)


 

0 commenti:

Posta un commento