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lunedì 21 settembre 2020

Tempo di vendemmia, di Mosto e, nell'attesa del vino, della 'MOSTATA'

 


E' un dolce che racconta la sua provenienza popolare, tipica delle famiglie di agricoltori che utilizzavano i grappoli dimenticati nelle vigne o gli acini caduti. La sua realizzazione si esegue in due tempi: Nella prima fase si realizza il mosto cotto, che si può conservare poi anche per diversi mesi in freezer

Non ha niente a che vedere con le mostarde che ho mangiato fino ad oggi in Italia Settentrionale, per lo più salse più o meno dolci o piccanti, con frutta candita o senza, utilizzate generalmente per accompagnare piatti come il bollito. La parola “mostarda" deriva dal latino “mustum ardens", alludendo al mosto di vino reso ardente, nel senso di piccante, dall’aggiunta di farina di grani di senape. In questo modo un tempo era possibile conservare un prodotto facilmente deperibile come la frutta. Da qui, in francese è diventata moût ardent (letteralmente: "mosto che arde”) e infine mostarda.

La mostarda siciliana invece è un dolce, eppure non ha zucchero. Non si mangia col bollito, ma a fine pasto. Non è piccante, è dolce. Per realizzarla si utilizza mosto di uva addolcito con la cenere e mescolato alla farina. Un procedimento che crea una specie di budino, dal sapore dolce ma non stucchevole, genuino.

La mostarda così ottenuta (mustata ri vinu cottu, in dialetto siciliano) può essere consumata in giornata, oppure, se volete conservarla più a lungo, potete adottare lo stesso procedimento che si usa per conservare a lungo la cotognata: farla asciugare al sole e quando raggiunge il giusto grado di densità conservarla all'interno di bocce di vetro.

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