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domenica 27 settembre 2020

La vendemmia di quest'anno? La fanno macedoni fantasma e africani senzatetto

 


Gli autobus che arrivano dall’Est nonostante il blocco delle frontiere. I senegalesi e i nigeriani accampati sulle rive del Belbo. E le tende della Caritas boicottate dalla Lega. Così si raccoglie l’uva da Canelli a Barolo

DI CECILIA FERRARA


«I macedoni? Sono la fortuna della viticoltura piemontese». Canelli, provincia di Asti, la patria della bollicina italiana, del Moscato d’Asti. «Con l’invecchiamento dei viticoltori e gli investimenti stranieri, sono sparite le piccole aziende con 3, 4 ettari. Ora devi avere almeno 20 ettari per stare in piedi. E lì non ce la fai più a vendemmiare con la famiglia e i vicini, sono necessari i macedoni. E le cooperative», spiega Claudio Solito dell’azienda La Viranda in piena Langa Astigiana. È qui che la famiglia Gancia, nel 1865, ha inventato il primo spumante italiano riprendendo - racconta il sindaco Paolo Lanzavecchia - «quello che facevano nello Champagne ma con un metodo italiano». Poco importa se la Gancia ora è in mano al magnate russo della vodka Roustam Tariko. «Sta investendo in qualità», assicura il sindaco. A Canelli, 10 mila anime, quasi il 10 per cento della popolazione è di origine macedone. E macedone, o bulgaro (sono lingue molto simili), si parla spesso al centro del paese, in piazza Gancia. Soprattutto ora, in tempo di vendemmia. Nel piazzale ci sono almeno 5 bus i cui tragitti possono sembrare bizzarri per chi non conosce la zona: Dogliani (Cuneo) - Delcevo (Macedonia del Nord); Kocani (Macedonia del Nord) - Canelli (Asti); più alcune linee bulgare non meglio precisate. «Sono trent’anni che lavoro con i macedoni, la maggior parte li ho regolarizzati io, quando c’erano ancora le sanatorie», racconta Piergustavo “Bimbo” Barbero, patron di una delle cooperative agricole storiche del canellese, la Pusbein. «Ora me ne stanno andando in pensione a ritmo di una decina l’anno e i figli non vogliono più stare in vigna, se ne vanno in Germania e Svizzera dove pagano meglio e c’è un welfare per la famiglia». Barbero è anche tra chi - pochi - da sempre denuncia le cooperative “sporche”, questione ormai endemica anche in queste zone di vino pregiato. «Se li assumono, li pagano per 2 o 3 giorni anche se ne fanno 50. Noi abbiamo prevalentemente lavoratori fissi che paghiamo per almeno 160 giorni su 365 per far maturare l’anno di pensione», spiega. «Nei primi anni Duemila erano ovunque», racconta Fabrizio Gambarini di Via Campesina, associazione rurale che si batte per i diritti dei contadini. «I bulgari dormivano nelle macchine, i macedoni si accampavano sul fiume». Il punto di raccolta era Piazza dell’Unione Europea dove in centinaia, alle 6 di mattina, aspettavano di essere raccolti dai padroncini di cooperative che li pagavano 4 euro l’ora. «Lo chiamo caporalato legalizzato», continua Gambarini «L’imprenditore è contento perché a fine lavoro le coop rilasciano fattura e, anche se il prezzo è troppo basso per potere essere sostenibile, non sarà certo lui a protestare». Nel 2015 il giornalista della Stampa Riccardo Coletti ha scoperchiato quello che venne chiamato “il sistema Canelli”. Ricevendo, per tutta risposta, minacce neanche troppo velate e “consigli” a non farsi più vedere in città. «Era un sistema ben conosciuto che veniva tollerato. Ma il Piemonte non è Rosarno e oggi va detto che le istituzioni e le forze dell’ordine sono molto più attente», dice. Anche se i casi, comunque, continuano a esserci: lo dimostrano due indagini dei Carabinieri e della Guardia di Finanza che, a maggio scorso, hanno portato alla chiusura di due cooperative gestite da cittadini albanesi. A essere sfruttati, come sempre più spesso accade, erano ragazzi africani originari di Senegal, Nigeria, Mali. Sono loro ormai ad affollare Piazza dell’Unione Europea all’alba. «Non è Rosarno» è il mantra di chi si occupa di migranti in quest’area. La paura che l’immagine di una zona pregiata possa venire infangata da pratiche illegali è alta, in particolare in periodo di vendemmia. E soprattutto dopo la crisi delle vendite causata dal lockdown. «Sono cento, centoventi persone al massimo. È assurdo che non si riesca a trovare una soluzione abitativa per quelli che dormono in giro», dice Claudio Riccabone della Caritas. Da qualche anno organizza posti letto e pasti caldi per gli stagionali che invadono la città. Il sindaco, eletto con una lista civica di centrodestra appoggiata dalla Lega, ha deciso di non permettere alla Caritas di aumentare i posti letto in questo periodo. La spiegazione? «Sarebbe concorrenza sleale nei confronti degli altri lavoratori, magari si fanno pagare anche un euro meno degli altri». Ma questi ragazzi da qualche parte dovranno pur dormire. E allora eccoli alla stazione, ormai fuori uso, oppure accampati sotto a un parcheggio e sulle rive del Belbo, dove hanno trovato rifugio anche alcuni bulgari. «Non era meglio tenerli in un posto dove c’è un medico e dove si misura la febbre ogni giorno, visti anche i tempi di emergenza sanitaria?», chiosa Riccabone. Già, il coronavirus. Per tutto il comparto agricolo è stato un colpo enorme. Secondo il Dcpm del 7 agosto, tuttora in vigore, l’Italia ha chiuso i confini con la Macedonia. Da lì, quindi, non dovrebbe arrivare più nessuno. Chi arriva invece da Bulgaria e Romania dovrebbe stare in isolamento fiduciario per due settimane. Già da agosto Coldiretti CIA e Confagricoltura hanno lanciato l’allarme sul pericolo di una vendemmia senza forza lavoro proveniente da Romania e Bulgaria. In questo territorio sono residenti oltre 5 mila cittadini macedoni: la maggior parte lavora nella viticoltura. In più, in occasione di ogni vendemmia, arriva qui anche un numero indefinito di stagionali: parenti, amici, persone che vengono all’avventura perché sanno che a Canelli e nell’albense si guadagna in trenta giorni quello che normalmente nei loro paesi guadagnano in quattro mesi. In teoria non sarebbe loro consentito arrivare in Italia a causa delle disposizioni Covid. Ma i pullman macedoni e bulgari si vedono eccome: girano per tutti i paesini delle Langhe, fino a Canelli. L’Ires, Istituto di Ricerche Economiche e Sociali, ha stimato a giugno che il valore della filiera produttiva dei vini a denominazione d’origine, nella regione, si aggira intorno ai 921 milioni di euro: a questi vanno poi aggiunti altri 365,7 milioni di euro di export. Senza contare il settore dell’agriturismo e dell’enoturismo, intrinsecamente legato ai vini pregiati che vengono prodotti principalmente nei territori di Langhe, Monferrato e Roero: si parla di Barbera d’Asti, Barolo, Dolcetto d’Alba, Barbaresco, Moscato, Alta Langa. Bottiglie che costano: c’è chi dice che in certe zone del Barolo un ettaro di terra si può vendere a 4 milioni di euro. «Sono settimane che cerco di lanciare un allarme sulla situazione», peggiorata dall'emergenza sanitaria e dalle norme in vigore per contenerla. Boban Pesov è il titolare della cooperativa agricola l’Arco del Lavoratore di Roddino nell’albense, zona pregiatissima. «Il 10 agosto ho scritto una lettera al ministero dell’Agricoltura prevedendo esattamente quello che è successo e che sta succedendo». Arrivato in Italia con i genitori nel 1998, oggi è architetto e fumettista. E ha preso in mano le sorti della cooperativa fondata dal padre nel 2008. «I nostri dipendenti sono in maggioranza macedoni. Lavoriamo per le più prestigiose case vinicole nell’area del Barolo, e sappiamo bene quanto il lavoro sulla vite vada seguito in tutto il suo percorso. Non abbiamo stagionali, ma lavoratori qualificati», racconta Pesov. Dopo il periodo del lockdown, a inizio luglio, parte dei suoi dipendenti è tornata in Macedonia per vedere la famiglia. E, ammette, quando sono arrivate le prime limitazioni per gli arrivi dall’est Europa, ci si è attrezzati. «Li abbiamo fatti tornare due settimane prima, abbiamo affittato una palazzina dove avrebbero potuto passare la quarantena, ognuno con il suo bagno, abbiamo fatto le dichiarazioni di rientro all’Asl e li abbiamo testati. Su 68 rientri che abbiamo gestito, abbiamo registrato 2 persone positive asintomatiche. Uno si è negativizzato, l’altro ancora no. Abbiamo fatto tutto nel modo più sicuro e ho l’impressione che siamo stati tra i pochi, tanto che abbiamo ricevuto mille ispezioni dall’Asl». Solo il 24 agosto - a una settimana dall’inizio della vendemmia - i sindaci delle Langhe del Barolo, un’unione di 9 comuni, si sono ritrovati con le cooperative agricole della zona e con i produttori. «Sì, era un po’ tardi», ammette il sindaco di Monforte d’Alba Livio Genesio, che ha ospitato la riunione, «ma non sapevamo se i decreti sarebbero cambiati o no. Eravamo preoccupati ma ci siamo dati delle regole di prevenzione, in particolare per la quarantena, da far rispettare ai lavoratori che tornavano dai paesi a rischio. Ma i numeri sono limitati: molti che erano là non hanno fatto ritorno». Il timore però resta. Quanti tra quelli che sono tornati con i famosi bus dalla Macedonia e dalla Bulgaria hanno rispettato la quarantena? «Io non sono andato, ma i nostri tornati dalla Macedonia del Nord ci hanno raccontato che controlli non ce ne sono e molti ci chiedevano perché loro dovevano rimanere a casa 14 giorni, mentre altri nel bus si mettevano d’accordo per andare in vigna il giorno dopo», dice Jovan della Cooperativa Pusbein di Barbero. E di casi ce ne sono, basta chiedere. Un uomo bulgaro, alla tenda della Caritas, racconta di non mancare a una vendemmia da dieci anni. Dove dorme? Fuori, non si capisce se in macchina o per strada. La quarantena? «No, ho fatto il test prima di partire. Sono a posto». Ma contro la legge. Sia chi viene dalla Bulgaria sia chi arriva dalla Macedonia dovrebbe inviare autosegnalazione alla Asl di competenza all’arrivo in Italia, e poi trascorrere 15 giorni di quarantena in isolamento. L’Asl Cuneo 2 della zona di Alba e Bra conferma a L’Espresso di contare 98 persone che si sono autodenunciate. 68 lavorano alla Cooperativa di Boban Pesov: quindi solo altre 30 persone hanno comunicato il loro arrivo. Peccato che, a detta per esempio del sindaco di Monforte, nell’area del Barolo arrivino in genere almeno 3-400 stagionali. Davvero hanno tutti rinunciato? L’Asl di Asti, che gestisce anche Canelli, comunica che dal 1 agosto a oggi hanno comunicato il loro rientro 54 persone dalla Bulgaria, 261 dalla Romania e 61 dalla Macedonia. «Male, molto male», sospira Boban Pesov. «Speravo che i miei avvertimenti avrebbero portato più frutti. Questi non sono numeri verosimili. E non ci si rende conto del rischio che si corre ad avere un focolaio, ora che il turismo enogastronomico ha appena iniziato di nuovo a prendere vita».

( Grazie Maurizio!)

Da L'Espresso del 17/09/2020

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