Post in evidenza

sabato 24 aprile 2021

Il 25 aprile di LIETI CALICI: La Resistenza nel vino? Capitolo 1. Le Langhe

 

Una delle patrie enologiche più importanti d’Italia, le Langhe, sono state scenario di alcune delle pagine di letteratura più toccanti della Resistenza antifascista. A partire dalla Malora di Beppe Fenoglio, la cui eco arriva fino a noi e si amplifica grazie ad etichette che ricordano episodi di resistenza civile.

L’articolo fa parte della Monografia “Resistenza!”
(Civiltà del bere 1/2021)

I Paesaggi vitivinicoli di Langhe, Roero e Monferrato Patrimonio Unesco sono oggi un riferimento per appassionati di vino, nonché meta di turisti da tutto il mondo. Queste colline rigate di vigneti e tempestate di Cantine rappresentano prima di tutto un ambiente culturale plasmato dalla storia, compresa quella che molti nonni – avendola vissuta in prima persona – hanno raccontato ai loro nipoti: la storia della Resistenza.

Le vigne raccontano una storia

Vino e cultura sono stati i due requisiti fondamentali per elevare queste terre a Patrimonio dell’umanità. Camminando tra i filari si odono sussurrare i versi di grandi scrittori come Cesare Pavese; si nascondono le ultime cascine de La malora di Beppe Fenoglio; si tramandano le testimonianze di vita contadina de Il mondo dei vinti di Nuto Revelli. E non è un caso che il successo attuale del vino qui prodotto passi anche attraverso l’impegno civile e la lotta per la libertà della Resistenza partigiana.

Il giorno della malora

Come racconta Bianca Roagna, direttrice del Centro Studi Beppe Fenoglio e sommelier: «Ai visitatori mostro sempre una foto molto rappresentativa di un passato non troppo lontano. Immortala i contadini che dalle campagne scendevano in città, ad Alba, in quella che oggi è la piazza dedicata a Michele Ferrero, per conferire le uve. I compratori aspettavano fino all’ultimo minuto e i vignaioli, pur di non riportare a casa il frutto di un anno di duro lavoro, erano costretti a venderle per pochi soldi. Mio nonno lo chiamava “il giorno della malora”». Ma grazie ad alcune menti illuminate le cose cambiarono: «I grandi patriarchi del vino di Langa dopo la Resistenza hanno fatto in modo che il corso di queste terre cambiasse», continua Bianca Roagna.

Una vita intrecciata alla vite

Il perché della connessione tra la storia della Resistenza, la letteratura e il vino si può rintracciare nelle parole dello scrittore e partigiano albese, che seppe raccontare quelle Langhe allora poverissime e resistenti. “Sono nato in Alba il 1° marzo 1922 e in Alba vivo da sempre, a parte le lunghe assenze impostemi dal servizio militare e dalla lotta partigiana. La mia attività base è quella di dirigente d’industria: più precisamente, curo l’esportazione di una nota Casa vinicola piemontese”, scrive di sé Beppe Fenoglio (Lettere). Così anche la vita dello scrittore si intrecciò in qualche modo alla vite piantata in questa terra a quel tempo così misera e di cui si trova toccante e spesso brutale testimonianza ne La malora.

La voce del partigiano Johnny

Mentre Il partigiano Johnny si fa voce storica ma incredibilmente attuale dello spirito partigiano: “E pensò che forse un partigiano sarebbe stato come lui ritto sull’ultima collina, guardando la città e pensando lo stesso di lui e della sua notizia, la sera del giorno della sua morte. Ecco l’importante: che ne restasse sempre uno. Scattò il capo e acuì lo sguardo come a vedere più lontano e più profondo, la brama della città e la repugnanza delle colline l’afferrarono insieme e insieme lo squassarono, ma era come radicato per i piedi alle colline. – I’ll go on to the end. I’ll never give up”.

Lo spirito partigiano in Cantina

Tanti produttori di Langa vissero attivamente la Resistenza e fecero tesoro di quell’esperienza anche negli anni a venire. Due storie curiosamente agli antipodi, anche se mosse dallo stesso spirito, sono quelle di Bartolo Mascarello (1927-2005) e Arnaldo Rivera (1919-1987). Il primo è divenuto un punto di riferimento per la tradizione del Barolo e il suo vigneto di appena 5 ettari per 30.000 bottiglie l’anno è oggi custodito e tramandato dalla figlia Maria Teresa. L’impegno di Bartolo Mascarello per preservare il Barolo dall’avvento spesso troppo invasivo delle barrique costituì una vera e propria Resistenza al modernismo in tutte le Langhe.

Il comandante “Arno” Rivera

Anche la storia del comandante partigiano “Arno” Arnaldo Rivera è altrettanto esemplare e lungimirante. Dopo la guerra Rivera tornò al paese natale, Castiglione Falletto, dove svolse le attività di maestro elementare e di sindaco e sempre qui, nel 1958, fondò la Cantina cooperativa Terre del Barolo. L’iniziativa nacque in primo luogo dalla volontà di giustizia sociale e dall’intento di tutelare quei contadini sfruttati e costretti a svendere l’uva al mercato di Alba. «È stato uno degli uomini più rispettabili della nostra Langa», disse di lui Bartolo Mascarello, e dal 2013 ad Arnaldo Rivera è dedicato un progetto frutto di un protocollo ufficiale sottoscritto tra la Cantina e alcuni soci per ottenere la massima qualità dalla vigna alla bottiglia. Attualmente Terre del Barolo può contare su 600 ettari di vigneto e quasi 300 soci; nel 2020 è stata riconosciuta dalla rivista tedesca Weinwirtschaft come miglior Cantina cooperativa italiana.

Partigiano per sempre

A partire da Agostino de La malora, Bartolo e Arnaldo sono due esempi di riscatto in questa terra un tempo avara e oggi così generosa; e quello della Resistenza è dunque uno spirito libero che ha scavalcato gli anni e le colline ed è arrivato fino ai giorni nostri. “Partigiano in aeternum”, per dirla ancora una volta con le parole di Beppe Fenoglio.

La vigna si fa cattedrale

“La prima cosa che facevo da alzato era guardare dalla finestra se la mia terra c’era ancora”, racconta Agostino, il protagonista de La malora di Fenoglio. «Queste sono le radici del terroir culturale delle Langhe», spiega Bianca Roagna proseguendo con la lettura del libro: “Stasera senza volerlo ho sentito mia madre pregare. Per paura che io fossi in casa e la sentissi, è andata fuori e s’è inginocchiata vicino al primo palo della vigna”. Quest’ultima immagine fa parte della scena finale: «Qui il vigneto diventa una cattedrale: il luogo in cui Dio ascolta perché si tratta della tua terra, il luogo a cui appartieni e che ti appartiene. La malora è il racconto di una difficile mobilità sociale e se le Langhe oggi hanno raggiunto il successo, è anche grazie a storie come quella di Agostino», conclude la direttrice del centro studi.

Foto di apertura: un’immagine degli anni Trenta del secolo scorso del conferimento delle uve in piazza Ferrero ad Alba (Cuneo) © E. Necade

Foto del servizio: Archivio Centro Studi Beppe Fenoglio Alba, onlus


(Fonte: civiltà del bere)

venerdì 23 aprile 2021

IL 25 APRILE DI LIETI CALICI. VINI RESISTENTI DELLA COOP. LA VIRANDA DI CLAUDIO SOLITO: IL LIBERTARIO ROSSO

 




Libertario Rosso. Vino dedicato a Giovanni "Primo" Rocca e ad Omero "Fulmine" Saracco. Comandante e Vice Comandante Brigata d'assalto Garibaldi "Stella Rossa"

Era un sogno di un gruppo di contadini e disoccupati. È diventata una realtà viticola affermata. Dopo quasi trent’anni, le sei aziende agricole che dal 1980 hanno dato vita alla Cooperativa La Viranda sono più battagliere che mai. E i loro vini sono un manifesto della ribellione che si riverbera nel territorio astigiano dal 1943 ad oggi.

Vino rosso, come i suoi ispiratori. Non c’è presentazione migliore della storia della Cooperativa La Viranda se non quella del suo vino Libertario Rosso. Un Piemonte Brachetto DOC, vino semplice, schietto, come le figure a cui è dedicato. Giovanni “Primo” Rocca e Omero “Fulmine” Saracco, comandante e vicecomandante prima della Brigata partigiana d’assalto “Stella Rossa”, poi della IX Divisione Garibaldi “Alarico Imerito” di Asti. Partigiani intransigenti e impetuosi, ma con un senso della condivisione con la popolazione civile fuori dal comune. Uomini che, nel loro territorio, contribuirono alla liberazione del Paese dall’occupazione nazi-fascista. Ma che nel dopoguerra videro sfumare lo spirito di unità e le speranze di giustizia, sovrastate dagli interessi politici dei partiti ricostituiti. Comunisti invisi dallo stesso PCI: troppo legati agli ideali, troppo fedeli alla propria gente. Rose canine, come l’aroma di un vino che li ricorda.

La Resistenza nascosta. 20 agosto 1946, un manipolo di ex-partigiani si ribella tra le campagne di Asti e Cuneo. È la “rivolta di Santa Libera”, l’ultimo atto di Resistenza di chi aveva combattuto contro l’invasore. L’allontanamento del capitano Lavagnino, ex-comandante garibaldino, dalla polizia astigiana fa presagire una volontà di allontanare gli elementi più scomodi della sinistra socialista-comunista dalle posizioni di potere. Per riabilitare anche chi aveva subito l’epurazione dopo la conclusione del conflitto: fascisti e repubblichini, gerarchi e gregari. Uomini d’ordine che con l’amnistia potevano tornare utili nel gioco della Guerra Fredda. La mobilitazione astigiana preoccupa anche i vertici del PCI, poco incline ad assecondare la soluzione armata. Così, dopo una settimana di tensioni in tutto il Nord, le speranze dei rivoltosi non sostenute da nessuna forza organizzata si spengono come fiammiferi nel vento. Che ritornano ad indossare gli abiti civili. Che lasciano la storia dell’Italia seguire il suo corso.

Una Resistenza agricola. È dal 2001 che la Cooperativa La Viranda produce vino che ricorda l’attaccamento al territorio e la condivisione dei beni tipiche dei partigiani. Rispetto dei tempi di produzione e dei cicli naturali, controllo dei prodotti e delle sementi. Rigore nell’utilizzo di macchinari e delle normative di produzione. Controllo scrupoloso di tutte le fasi della trasformazione del mosto in vino. Rispetto e dignità del lavoro degli uomini. Rapporto qualità-prezzo che renda il vino un piacere accessibili a tutti. Tutto ciò che ispira equità e rigore, qui c’è.

Perseveranza, resilienza, resistenza. L’eco di una ribellione che viene da lontano, da una sinistra che lotta, condivide e rifiuta un ordine costituito non all’altezza dei propri valori. Una rivoluzione che si esprime dal basso, nelle piazze, sui monti, sulle tavole delle famiglie. Vini rossi, come il ricordo di un passato partigiano che non è ancora tramontato

10,90

Produttore: La Viranda

Territorio: Monferrato  /  Piemonte

Vitigno: Brachetto Clone Migliardi

Morbido,amabile, leggermente tannico, aromatico, sentori di rosa canina, marasca. Ottenuto con lieviti autoctoni e senza l’uso di prodotti di sintesi.

Alc. 14%

«Si doveva combattere anche per procurarsi da mangiare»: i partigiani e il cibo

 


Quanti scelgono di andare sui monti a condurre la guerra partigiana e quanti rimangono nelle città a portare avanti la lotta armata nella clandestinità devono innanzitutto far fronte alle loro necessità alimentari, un problema che presenta una molteplicità di contesti e di condizioni, ovviamente dipendenti dai tempi e dai luoghi in cui operano le brigate partigiane.

Nei primi mesi la ricerca del nutrimento quotidiano si pone come pura ed elementare questione di sopravvivenza. Gli uomini si alimentano di qualsiasi cibo possano trovare: di quanto raccolgono nei campi e nei boschi (funghi, castagne, frutti selvatici e verdure); dell’offerta dei contadini, generosi di latte e polenta; di viveri asportati dai magazzini dell’ormai disciolto regio esercito.

In tempi successivi il problema del cibo verrà risolto nei modi più vari: potrà essere acquistato dai contadini; requisito da ricchi possidenti e da quei gerarchi fascisti che ne hanno imboscato grandi quantità; prelevato dietro rilascio di buoni voluti dal Comitato di liberazione nazionale per «evitare che la popolazione unisca in un comune giudizio le requisizioni compiute, per assoluta necessità, da nuclei di Volontari della liberta, alle vere e proprie rapine effettuate da volgari delinquenti che trovano comodo esplicare la loro losca attività sotto le mentite spoglie di patrioti» (Comando militare unico Emilia-Romagna, Recuperi e requisizioni). Qualche volta il cibo sarà pure sottratto anche se, specialmente dopo la primavera del 1944, la disciplina partigiana risulterà molto rigorosa nei confronti di chi ruba.

Nell’estate del 1944, poi, i partigiani si procureranno cibo, molto spesso distribuendolo poi alla popolazione, assaltando le strutture dei consorzi agrari, in cui sono conservati gli ammassi, o i depositi in cui sono immagazzinate le derrate alimentari razziate dai nazisti.

Nella memorialistica partigiana è sempre presente il riferimento alla precarietà e alla scarsità del cibo. Tra le tante voci che le confermano, quella inedita di Nello, partigiano impegnato in Val Vajont che, il 24 marzo 1944, scrive nel suo diario: «Non c’è nulla da mangiare al di fuori del lardo che viene preparato in tutti i modi. Crudo, bollito, abbrustolito. Molti stanno male, vomito, diarrea. Alla sera un po’ di polenta e un bicchiere di vino» (Diario di Nello, in archivio dell'Istituto per la storia e le memorie del '900 Parri Emilia-Romagna).

Si mangia tutto ciò che è commestibile, sperimentando nuovi alimenti - che spesso procurano fastidiose conseguenze - e nuovi modi di trattarli; si mangia molto pane e molta polenta, con quotidiana e disgustosa monotonia. Quando si trovano uova si fa anche la pasta. Ciò che permette di sopperire alla mancanza di una alimentazione accettabile è la farina di castagne: senza quella la vita dei partigiani sarebbe molto più dura. Il formaggio costituisce il “companatico” per eccellenza perché di lunga conservazione e facilmente trasportabile, due fattori importanti in una guerra che impone spostamenti rapidi e continui. Il problema dell’alimentazione resterà grave per tutta la guerra (Testimonianza di Aurelio Ricciardelli, partigiano della compagnia Pirì inquadrata nella 36a brigata Garibaldi, operante nelle zone del ravennate).

Approfondimenti bibliografici:

Lorena Carrara, Elisabetta Salvini, Partigiani a tavola. Storie di cibo e ricette di libertà, Bologna, Fausto Lupetti editore, 2015.

Guido Laghi, Appunti sul problema sanitario presso le formazioni partigiane reggiane, in «Ricerche storiche. Rivista dell’istituto per la storia della Resistenza e della guerra di Liberazione in provincia di Reggo Emilia», a. III, n. 9, dicembre 1969, pp. 15-32.

Aurelio Ricciardelli, Problemi di lotta partigiana, testimonianza in Centro di documentazione sulla guerra di Liberazione di Casola Valsenio (www.Cdglcv.blogspot.it).

Nuto Revelli, La guerra dei poveri, Torino, Einaudi, 1979.

Giorgio Bocca, Partigiani della montagna. Vita delle divisioni Giustizia e libertà del cuneese, Milano, Feltrinelli, 2004.