La famiglia Mastroberardino vive il contesto socioculturale vitivinicolo da oltre due secoli, in base alle più attendibili ricostruzioni storiche. Le prime tracce della presenza in Irpinia risalgono al catasto borbonico, a metà del Settecento, epoca in cui la famiglia elesse il villaggio di Atripalda a proprio quartier generale, ove sono tuttora situate le antiche cantine, e di lì ebbe origine a una discendenza che legò indissolubilmente le proprie sorti al culto del vino.
“Da dove potremmo cominciare se non dalla vite, rispetto alla quale l’Italia ha una supremazia così incontestata, da dar l’impressione di aver superato, con questa sola risorsa, le ricchezze di ogni altro paese, persino di quelli che producono profumo?
Del resto, non c’è al mondo delizia maggiore del profumo della vite in fiore.”
Il progetto prende avvio negli anni ‘90, quando la Soprintendenza Archeologica di Pompei conferisce all’Azienda Mastroberardino, una delle più prestigiose e antiche cantine italiane, operante nel campo vitivinicolo da dieci generazioni, l’incarico di ripristinare la viticoltura nell’antica città di Pompei.
L’idea iniziale, fortemente sostenuta dal Cavaliere del Lavoro Antonio Mastroberardino, si concretizza in un programma di ricerca finalizzato ad una indagine sui metodi e sulle tecniche di viticoltura e vinificazione nell’antica Pompei, e alla riproduzione di alcune delle fasi salienti di tale sistema sul piano sperimentale.
Il vino, infatti, aveva un ruolo importante nella vita delle popolazioni vesuviane. Le indagini archeologiche, gli studi botanici e il rilevamento dei calchi delle radici delle viti e dei relativi paletti di sostegno (che la grande eruzione del 79 d.C. ha “immortalato” per sempre) hanno confermato la presenza di tale coltura anche all’interno della cinta muraria della città, nei giardini e negli orti che ornavano le case, ma soprattutto nei quartieri periferici nei pressi dell’Anfiteatro.
Pompei è un simbolo della nostra storia e della nostra civiltà e come pochi altri luoghi del nostro Paese parla
immediatamente dell’Italia: ogni anno oltre due milioni e mezzo di turisti visitano gli scavi archeologici. “Villa dei Misteri”, vino prodotto dalle uve dei vigneti del sito pompeiano è lo straordinario messaggero di una delle nostre più antiche culture e tradizioni. Un vino che nasce dalle viti coltivate dentro le Domus di Pompei, proprio laddove venivano coltivate oltre duemila anni fa e che deve il suo nome “Villa dei Misteri” a una delle Domus più belle che la storia ci ha consegnato, rappresenta un tributo al valore di Pompei.
Nel 2001 si è avuto il primo raccolto significativo con la prima vinificazione e l’affinamento del Villa dei Misteri, prodotto in appena 1.721 bottiglie che vennero collocate all’asta e distribuite ad appassionati di ogni parte del mondo. I proventi furono utilizzati per sostenere il restauro della cella vinaria presente nel sito del Foro Boario. Infatti, accanto al vigneto del Foro Boario, il più esteso, nei pressi delle rovine dell’anfiteatro e della palestra grande, si trova l’antica cella vinaria: piccolo edificio con 10 “dolia” interrati, grandi contenitori in terracotta dove avveniva il processo di vinificazione.
Per le prime dieci annate del Villa dei Misteri l’uvaggio è costituito da Piedirosso al 90% e Sciascinoso al 10%.
A partire dalla vendemmia 2011, attualmente ancora in affinamento, in seguito all’avvio della produzione degli ultimi impianti realizzati, Villa dei Misteri è ottenuto come blend di tre diverse varietà, che a regime presenta le seguenti percentuali di uvaggio: Aglianico 40% circa, Piedirosso 40% e Sciascinoso 20%.
Per le prime dieci annate del Villa dei Misteri l’uvaggio è costituito da Piedirosso al 90% e Sciascinoso al 10%.
A partire dalla vendemmia 2011, attualmente ancora in affinamento, in seguito all’avvio della produzione degli ultimi impianti realizzati, Villa dei Misteri è ottenuto come blend di tre diverse varietà, che a regime presenta le seguenti percentuali di uvaggio: Aglianico 40% circa, Piedirosso 40% e Sciascinoso 20%.
“E’ il nostro piccolo omaggio ad un sito che appartiene al mondo. Qui nacque la coltura della vite e qui, a distanza di duemila anni, siamo a riproporre il vino di Pompei”.
Antonio Mastroberardino
“Da dove potremmo cominciare se non dalla vite, rispetto alla quale l’Italia ha una supremazia così incontestata, da dar l’impressione di aver superato, con questa sola risorsa, le ricchezze di ogni altro paese, persino di quelli che producono profumo? Del resto, non c’è al mondo delizia maggiore del profumo della vite in fiore.”
Plinio, Naturalis Historia, XIV, 8
La convenzione tra la Soprintendenza e l’azienda vinicola Mastroberardino è finalizzata ad attività di studio, ricerca e concessioni in uso di area archeologica relativamente alla coltivazione della Vitis vinifera nell’antica Pompei e nell’area vesuviana.
Tale collaborazione si è articolata in diverse fasi progettuali principali:
- La prima prende l’avvio negli anni 90, quando iniziano gli studi condotti dal Laboratorio di ricerche applicate della Soprintendenza nelle Regio I e II che evidenziano la presenza di vigneti che si sviluppavano nell’area intorno all’Anfiteatro.
- Viene formalizzato un protocollo d’intesa avente ad oggetto attività di studio su varietà di uve, tecniche colturali e processi produttivi, e si realizza un campo sperimentale in corrispondenza del vigneto di Eusino, piccola unità produttiva di circa duecento metri quadrati, situata sulla via di Castricio, dotata di doli interrati per la conservazione del vino. Si realizza una collezione ampelografica di otto varietà tipiche della
Campania, rilevate nei testi classici come esistenti in antico e tuttora caratterizzanti le produzioni classiche di questo territorio. - Avviata tale sperimentazione e raccolti i primi dati, alla luce dei risultati i partners decidono di estendere l’iniziativa ad altre aree coltivate a vigneto incluse nell’area urbana dell’antica città di Pompei, dove vengono realizzati quattro vigneti nella primavera dell’anno 2000. Viene dunque messa a punto una convenzione su scala più ampia, con la quale in sintesi la Soprintendenza dà in concessione le aree alla Mastroberardino, la quale si impegna a coltivarle secondo un piano concordato e definito, nel rispetto dello stato originario dei luoghi, al fine di proseguire il programma di ricerca avviato con la precedente intesa, fino a giungere alla produzione di vino da tali siti. Tale seconda intesa ha ad oggetto aree adibite in antico a vigneto, per le quali le necessarie indagini di natura archeologica e botanica fossero state già effettuate alla data della stipula della convenzione. Sono nati così i 4 vigneti della Casa della Nave Europa, dell’Osteria del Gladiatore, del Foro Boario, della Casa del Triclinio Estivo, per una superficie complessiva di circa 1 ettaro. Qui, con le stesse tecniche di coltivazione precedenti alla grande eruzione (elevata densità di impianto, filari ravvicinati sorretti da paletti in legno di castagno piantati esattamente sulle impronte dei paletti dei vigneti di 2000 anni fa, individuate a mezzo di calchi in gesso) sono stati impiantati i vitigni autoctoni Piedirosso e Sciascinoso, scelti sulla scorta di studi botanici, bibliografici e iconografici condotti anche sugli antichi affreschi pompeiani.
- Nel 2005 viene realizzato un campo didattico sulla viticoltura ai tempi dell’eruzione del 79 d.C, in cui sono riprodotti i diversi metodi di coltivazione della vigna utilizzati in antico (alberata, maritata, a giogo semplice, camerata, jugatio compluviata, alberello, a palo).
- Nel corso del 2007 vengono individuati ulteriori siti interessati dall’impianto di vigneti in antico e pertanto la Sovrintendenza programma l’ampliamento della convenzione attraverso la concessione di questi nuovi siti alla Mastroberardino. Al vigneto di Eusino e a quelli impiantati nel 2000, si andranno pertanto ad aggiungere ulteriori 10 piccoli vigneti, impiantati nella primavera del 2009, ad ampliare la sperimentazione sulle forme di allevamento e sulle varietà di vite, per una superficie complessiva concessa in ulteriore conduzione di circa mezzo ettaro. La forma di allevamento proposta è differente rispetto a quelle utilizzate per i precedenti vigneti: si tratta infatti di una ulteriore forma di allevamento tradizionale dell’antichità, l’alberello. Definita la forma di allevamento, si è poi valutato che il vitigno maggiormente adatto a tale tipologia gestionale con potatura corta fosse l’aglianico a testimoniare il matrimonio perfetto tra il vitigno di origine greca e la tipica potatura corta ellenica Nei dieci vigneti realizzati nel 2009 sono stati proposti anche diversi sistemi di gestione dell’alberello, con ausilio di tutori in legno, a dimostrazione della fase di passaggio dalle forme senza sostegno a quelle con tutore e dalla potatura lunga alla potatura corta.
VINI:
Greco di Tufo
Fiano D'avellino
CONTATTI: AZIENDA VINICOLA
Via Manfredi, 75-81, 83042Atripalda AV
t. +39 0825 614111
Dieci generazioni, da allora, hanno condotto le attività di famiglia, tra alterne vicende, come sempre accade nelle storie delle imprese familiari di più antica originei
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