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sabato 14 marzo 2020

AZIENDA AURORA OFFIDA (AP) MARCHE

Quello di Aurora è uno dei nomi imprescindibili dell’enodissidenza.
Questa comunanza agricola (termine con il quale si fa riferimento a un tipo di società comunitaria antecedente ai piceni, egualitaria ed estranea al concetto di proprietà privata) fondata negli anni settanta sulle colline di Offida ha attraversato tutte le trasformazioni del mondo del vino senza cedere un grammo della propria identità e rimanendo coerente a sé stessa, quasi fosse impermeabile alle sollecitazioni del mercato, alle mode, alle tendenze. Anzi, se un merito va riconosciuto ai soci/compagni di questa realtà più unica che anomala è quello di essere riusciti a indicare alla viticoltura - quella marchigiana prima, quella nazionale poi - una via nuova, un’alternativa quando farlo aveva qualcosa dell’atto rivoluzionario. Sia come sia, Aurora è oggi l’esemplificazione di quello che intendiamo quando si parla della terra (anzi: Terra) come insieme di valori, come via d’uscita possibile dalla crisi, come antidoto alle degenerazioni del sistema. Accanto al vino, frutteti e un agriturismo caratterizzato da un’ospitalità assai “paritaria”, nella quale l’ospite è visto più come un compagno che come un cliente; anche le modalità di suddivisione degli introiti tra i soci, del resto, sono affatto particolari: nessuno qui è un dipendente a libro paga, ognuno preleva ciò di cui ha bisogno. Una vocazione inequivocabilmente sovversiva, che ritroviamo integra nei vini: tutti realizzati seguendo i dettami della viticoltura biologica nel segno di un’attitudine quanto meno possibile interventista. Il territorio in primo piano - e che territorio: un altro dei vanti di Aurora sta nell’aver contribuito in maniera determinante alla sua valorizzazione e al suo rilancio - e al fianco del vitigno: e una pratica squisitamente contadina e artigianale al loro servizio. L’impostazione è coraggiosa, capace di cercare la valorizzazione del carattere del vitigno senza mediazioni, anche quando farlo non è propriamente agevole. Il Fiobbo è l’emblema del pecorino in purezza, diretto e lineare ma capace di profondità; un bianco dinamico e vivo che fornisce la fotografia forse più fedele in assoluto di un vitigno del quale sarebbe necessario parlare al di là delle tendenze last minute. Carattere semplice ma granitico. La Passerina è un invito alla convivialità e al bicchiere successivo: un sorso che non stanca, una comunicatività che si potrebbe definire dialettale. Il Rosso piceno è, nella versione superiore ma anche in quella “base”, un vino di grande dignità e carattere, quello che merita la tavola e ’accostamento ai piatti della tradizione, che si guadagna la quotidianità. Coerentemente, il rapporto qualità/prezzo è notevole per tutti i prodotti.

Il Barricadiero, merita sempre un discorso a parte: uno dei vini del privilegio di Gino Veronelli, che ne rimase letteralmente abbagliato quando, dopo averne letto sulle pagine di Carta, ebbe modo di assaggiarlo e di raccontarlo come nessun altro avrebbe potuto fare. Veronelli e lo stesso nome “militante” hanno fatto molto per un vino che forse è diventato anche un po’ leggenda al di là dei suoi meriti, ma del quale e impossibile non riconoscere statura e generosità. ( fonte: Vino Critico. Prima Edizione 2013 -  a cura di Officina Enoica -  Ed. altreconomia)





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