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sabato 11 luglio 2020

La necessità del ritorno alla terra di Gino Veronelli da una selezione degli scritti curati da Gian Arturo Rota*

LA TERRA, LA TERRA, LA TERRA
… Ancora una volta oggi, sulla spinta delle proteste “contadine”, metto sotto accusa – la mia rabies sarà mai sufficiente? – le autorità (si fa per dire) agricole.
Chi, per interesse o divertimento, mi legge, sa: dal 1956 denuncio senza mezzi termini il coacervo, fitto oltre ogni dire, di tangenti, sopercherie, illegittimità e intrallazzi, compiuti dai padroni del vapore, con l’acquiescenza o l’arrendevolezza, quando non in colpevole combutta – questa sì padrinesca e mafiosa – di politici, corporazioni e sindacati, senza distinzione alcuna di colore.
Tutti alla greppia, a danno di coloro – i contadini veri, gli oliandoli, gli allevatori, i pastori, i pescatori, i vignaioli, gli ortolani, continua continua – proprio quelli, di cui avrebbero dovuto – pensa té – patrocinare gli interessi. … Vi è un comparto – agricolo, dico – che s’è salvato? Ch’è rimasto a galla? V’è ed è la viti-vinicultura.
Chi avrà il compito – giovani, la gran fortuna e realtà – di redigere la storia, appunto viti-vinicola della nostra Patria, si troverà di fronte, settimana via settimana – ma potrei scrivere giorno via giorno – all’immane carteggio con cui ci si è imposti contro il tentativo di mantenere prima, di riportare poi, anche la viti-vinicultura sulle strade smerdae di quell’altra agricoltura, l’offiziale.
Basta ch’io citi, a puro titolo di esemplificazione, gli “autori” dei decreti automatici, anno per anno, dell’arricchimento vendemmiale. In pratica arricchimento dei politici, dei funzionari e di una decina di industriali, impoverimento dei contadini e del mercato.
Si dovrebbe proprio guardare ai risultati viti-vinicoli sul piano della qualità e – in diretta conseguenza – dell’economia, per individuare – chiara, netta, palmare – la via – per ciascuno degli altri prodotti agricoli coltivati e/o lavorati – da intraprendere.
L’Italia è unica, nel mondo intero, a fruire di condizioni – per terre, climi e uomini – del tutto singole e differenziate.
Se avremo il coraggio di sostenere – ed in primis ai livelli internazionali, più ancora che europei – la libertà assoluta del mercato e l’eliminazione d’ogni forma di sussidio, il ventaglio ed il divario qualitativo, sono tali, così ampi ed a nostro favore, che ben presto – com’è successo per i vini seri – i nostri prodotti “naturali”, sia per sè soli, sia lavorati – ortofrutticoli, caseari, dell’allevamento, della salumeria, della conservazione, continua continua – si porteranno, con sorprendente facilità, al primato qualitativo (e quindi remunerativo)…


Gian Arturo Rota: Bergamasco, classe 1964 (annata storica, per i vini), studi umanistici.

Ha trascorso quasi 20 anni fianco a fianco di Luigi Veronelli (di cui “custodisce” l’immenso archivio), per 11 ha diretto la Veronelli Editore. E’ stato curatore della guida I Ristoranti di Veronelli, e autore dei volumi: Sagre e feste d’Italia e Dizionarietto gastronomico, per Veronelli Editore; Mangiare Lungocosta, per Class Editori. Giurato nell’edizione 2009 del concorso Uovo d’Oro, per la trasmissione La prova del cuoco (RAI Uno). Ospite fisso nella trasmissione radiofonica Marconi & Sapori (Radio Marconi) nel biennio 2009/2010. Ha rubrica sugli artigiani alimentari per le riviste SpiritodiVino e MonsieurE’ autore, insieme a Nichi Stefi, del libro Luigi Veronelli – La vita è troppo corta per bere vini cattivi, edito, autunno 2012, da Giunti/Slow Food.

COME HO CONOSCIUTO VERONELLI
Primo incontro nell’inverno 1985, lui già da tempo prestigiosa e popolare personalità, io ventunenne con un futuro tutto da inventare; sapevo di lui da un paio di lustri, per i ricordi della trasmissione A tavola alle 7, per la circolazione in casa mia del mensile Vini e Liquori e, ancor più, per le parole ammirate di mia madre: “un’autorità indiscussa”.
Chiacchierata breve e cordialissima. Qualche mese dopo, cominciavo la (ri)sistemazione, 9000 e più libri, della sua biblioteca, personale e professionale, un po’ in disordine. Sei/sette mesi, tra i più divertenti e formativi.
Ad infiammare il mio entusiasmo, io studente di Scienze Religiose, la serie dei testi di autori del ‘700 francese – culla dello scientismo, delle moderne libertà dell’uomo e del più feroce anticlericalismo – che lui amava tanto e che per me rappresentava una letteratura del tutto opposta a quella del mio corso universitario.
Ebbi non poche gioie da quell’incarico, e il privilegio – che Veronelli mi concesse con una semplicità di modi disarmante ma con l’avvertenza del massimo rispetto – di consultare quelle opere. Lo feci col massimo rispetto.
Man mano i giorni trascorrevano e la catalogazione prendeva forma, compresi di avere di fronte la biblioteca di un letterato e bibliofilo vero, di uno che i libri li leggeva davvero e li consumava.
Compresi anche che la grandezza cui era giunto originava nelle superiori doti, nelle geniali intuizioni, in una applicazione al lavoro rabbiosa, in una pignoleria persino irritante e nell’immenso giacimento letterario su cui si era formato e continuava a formarsi.

Fu soddisfatto del mio lavoro. Mi diede ancora un paio di incarichi, poi mi assunse.
Iniziò un rapporto che durò sino alla sua scomparsa.
 Lasciai l’università, ma ne intrapresi un’altra, diversa certo, ma fu scelta mai rimpianta.

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