Ne La gita a Tindari, quando il commissario mangia nella sua trattoria abituale, Camilleri si lascia scappare un’informazione: quando il ristoratore si avvicina per l’ordinazione scopriamo che Montalbano è solito bere un certo vino bianco. ‘Per lei commissario, la solita minerale e il solito Corvo bianco. E per lei, signorina?’. ‘Lo stesso’. (p. 87). Il Corvo Bianco è un prodotto tipico di Casteldaccia, in provincia di Palermo, ne esistono due tipi: uno di colore giallo paglierino dorato che ha un profumo intenso e un sapore secco e vellutato; l’altro di color bianco carta con un sapore più fresco.
In Sicilia, grazie alla fantasia letteraria di Camilleri, è nata una notevole iniziativa imprenditoriale che ha riscosso successo proprio per la bontà dei suoi vini.
La passione di Montalbano per il cibo talvolta da spirituale si materializza e diventa carnale..La trovata commerciale che dà un nuovo slancio al vino siciliano in Italia e all’estero, è dei fratelli Scordato, che presentano le loro bottiglie con il nome Vigata come marchio. Vigata è un nome che salta subito all’occhio ed è ormai celebre. Non è un caso che sul marchio sia stampata anche una rappresentazione dell’isola Ferdinandea, apparsa e scomparsa in un “vidiri e svidiri”, il 5 luglio 1831, al largo di Sciacca, “tra tuoni, fulmini, saette, dal mare ribollente”, e poi sommersa dai flutti solo 5 mesi dopo. È proprio lì, a metà tra realtà e fantasia, è possibile bere una bottiglia di Vigata, abbinata alle prelibatezze siciliane. Così si può sorseggiare l’Inzolia con i purpi alla carrettiera, il Nero d’Avola con la caponatina e il RossoSalvo con i famosi arancini di Montalbano. O bere un vino di compagnia come il Syrah che Montalbano sicuramente berrebbe con la sua compagna genovese Livia.
Ascolti questo brano:
'E arrivarono i pirciati. Sciauravano di paradiso terrestre. Il baffuto si mise appuiato allo stipite della porta assistimandosi come per uno spettacolo. Montalbano decise di farsi trasire il sciauro fino in fondo ai polmoni. Mentre aspirava ingordamente, l’altro parlò. “La vuole una bottiglia di vino a portata di mano prima di principiare a mangiare?”. Il commissario fece ‘nzinga di sì con la testa, non aveva gana di parlare. Gli venne messo davanti un boccale, una litrata di vino rosso densissimo. Montalbano se ne inchìun bicchiere e si mise in bocca la prima forchettata. Assufficò, tossì, gli vennero le lagrime agli occhi. “Ci vada chiano chiano e leggero”, lo consigliò il cammareri proprietario. “Ma che c’è?”, spiò Montalbano ancora mezzo assufficato. “Oglio, mezza cipuddra, dù spicchi d’agliu, dù angiovi salati, un cucchiarinu di chiapparina, aulive nivure, pummadoro, vasalicò, mezzo pipiruncinu piccanti, sali, caciu picurrnu e pipi niuna”, elencò il baffuto con una nota di sadismo nella voce. “Gesù” disse Montalbano. Intercalando le forchettate con sorsate di vino e gemiti ora di estrema agonia ora di insostenibile piacere “esiste un piatto estremo come il sesso estremo?”, gli venne di spiarsi a un certo punto, Montalbano ebbe macari il coraggio di mangiarsi col pane il condimento rimasto sul fondo del piatto, asciucandosi di tanto in tanto il sudore che gli spuntava in fronte. “Che vuole per secondo, signore?”. Il commissario capi che con quel «signore» il padrone gli stava rendendo l’onore delle armi. “Niente”. “E fa bene. Il danno dei pirciati ch’abhruscianu è che uno ripiglia i sapori il giorno appresso'.
(da: L’odore della notte).
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