Da qualche settimana sapevo che sarei andato a trovare Gianfranco Antoniali, ne avevo letto nel libro di Pino Petruzzelli e mi ero convinto che la mia scoperta dei vignaioli liguri dovesse cominciare da lui.
Convinco mio suocero e mia moglie a venire con me, "torniamo in un'oretta", pensavo.
È un pomeriggio di sole caldo, anomalia per il febbraio della Valle Scrivia. Scegliamo la strada più scomoda, salire fin su alla Bastia, scendere a Pietrafraccia, risalire a Minceto.
Saranno in tutto 12 km, ma inerpicati su strade dissestate, tornanti e dirupi, fra i boschi, mucchietti di neve qua e là, neanche un guard rail, accenni di frane, ma già dalla Bastia si vede la vigna, è l'unica terra lavorata in tutto il paesaggio percepibile.
Provo a chiamare Gianfranco più volte ma non risponde, proseguo... Scendendo dalla Bastia la strada peggiora, si riaggiusta un po' risalendo verso Minceto. Nel frattempo penso che fare agricoltura qui è davvero un gesto eroico.
Mi inerpico verso Minceto forte dell'indicazione di un passante per trovare la vigna... ed eccola, la stradina sulla sinistra per raggiungere Gianfranco, ma è così ripida e a gomito che per imboccarla devo arrivare nel caseggiato, 5-600 metri più avanti, e girarmi.
Mio suocero non si fa tanto convinto che mi lanci con la macchina su per quella stradina sterrata e sgarrupata, ma tant'è.
Siamo a 650 metri di altitudine, sul fianco di un'altura esposta al sole tutto il giorno.
Mi fermo davanti al cancello e capisco perché Gianfranco non mi rispondeva... la musica si diffonde ad alto volume mentre lui è in vigna a potare, devo arrivare a pochi metri da lui perché mi senta.
Molla il lavoro, ci viene incontro e ci accoglie come se fossimo un dono, perché può raccontarci ciò che fa e ciò che ama.
Prima di raggiungere un bicchiere di vino scopriamo metro per metro la nascita di questa avventura, i pezzetti di vigna recuperati al bosco un pezzetto per volta, i 24 gradi zuccherini delle uve di "Nebbièu" (un ibrido che non è nebbiolo e non so come si scrive), la scelta di fare solo Timorasso e Nebbiolo, le piante da frutto di ogni genere, i fagioli bianchi di Badalucco, lo zafferano (e il suo cimitero)... i salici, "perché la vigna la lego solo col salice"...
"E quello lì, sai cos'è?"
È mirto.
E così ci mostra il coltello sardo "a foglia di mirto".
"Questo è il Timorasso 2017, assaggialo, che poi ti faccio sentire la bottiglia aperta da ieri"
Siamo in cantina, che è un luogo pieno di ogni cosa possibile, da starci le ore a scoprire pezzo per pezzo che storia nasconde.
E il tempo passa insieme al Timorasso, che sì, quello aperto il giorno prima è veramente più buono di quello appena aperto...poi si arrampica in un angolino dove sono stipate due piccole botti da 24 litri... brandy di Timorasso strepitoso... poi la grappa di Timorasso e la grappa di Nebbiolo.
Non vi dico quant'è bello il suo distillatore.
Apre per noi un barattolo di peperoncini ripieni di olive, snocciolate una ad una e aggiughe, che prima ha messo sotto sale.
Resteremmo giornate a sentire tutto ciò che ha da raccontare, ma sono tre ore che siamo lì e abbiamo una nipotina che ci aspetta a casa...
Esco con un piccolo bottino, Timorasso 2014 - 16 - 17 e Nebbiolo 2011, ed esco soprattutto con un grande tesoro, la passione che Gianfranco ha condiviso con noi.
È stato come vedere, metro per metro, riconquistare la terra e riportare le terrazze di vigna dove 50 anni fa era tutta vite. La fabbrica ha portato via le persone dai filari, lui si è ripreso un pezzo di storia e territorio...meno di due metri tra un filare e l'altro, terrazza dopo terrazza per mettere insieme meno di duemilacinquecento bottiglie a vendemmia.
Tornerò per fare con calma, ci sarà la musica, e sarà pronto il nuovo Nebbiolo.
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