Molti vignaioli italiani hanno fatto al governo richieste specifiche e immediate: liquidità, alleggerimento della burocrazia, Iva abbassata e posticipata, valorizzazione del prodotto
«La cosa più veloce che potrebbe fare il Governo per aiutarci? Riaprire tutti i bar e tutti i ristoranti, adesso, subito». Lo dice ridendo Luca Ferraro, vignaiolo ad Asolo, uno dei comuni più importanti per la produzione di Prosecco. «A parte gli scherzi non c’è una sola e unica azione che potrebbe immediatamente rimettere in moto la macchina ma tanti piccoli interventi che potrebbero forse metterci nelle condizioni di lavorare al meglio. Il primo è generale, vale da sempre e ha a che fare con l’eccessiva burocrazia cui siamo sottoposti. Ci vuole un alleggerimento, specie per le aziende agricole più piccole dove c’è una sola persona o quasi a fare tutto: meno tempo passo in ufficio più posso lavorare in campagna o in cantina. E poi ci serve liquidità, se gli incassi si sono fermati le spese vanno avanti. I soldi per il gasolio del trattore o per pagare il dipendente a un certo punto finiranno».
La FIVI, Federazione Italiana dei Vignaioli Indipendenti, è la più importante associazione riconducibile alla categoria, raggruppa circa 1.300 produttori per 13.000 ettari di vigneto e un fatturato complessivo che si avvicina a 0,8 miliardi di euro. Qualche giorno fa ha scritto a Teresa Bellanova, Ministro delle Politiche Agricole, e a Roberto Gualtieri, Ministro dell’Economia e delle Finanze, affinché intervengano per sostenere il settore vitivinicolo e il settore Horeca. Tre le richieste, tutte relative alla gestione dell’Iva. La prima che l’Iva relativa alle vendite di vino sia esigibile solo al momento dell’incasso delle fatture e non al momento della consegna o della spedizione, cosa che quindi permetterebbe alle aziende di emetterle solo dopo aver incassato il dovuto. La seconda riguarda le vendite già effettuate e per le quali è già stata emessa la relativa fattura di vendita: la FIVI richiede che l’Iva sia da considerare “in sospeso” (come avviene per le cessione alla Pubblica Amministrazione), e quindi esigibile soltanto nel momento dell’incasso della stessa. La terza è che l’Iva sul vino venga abbassata fino alla fine del 2023 dall’attuale 22% alla tariffa agevolata del 10 per cento.
«Sono richieste chiare, semplici, immediatamente attuabili – continua Luca Ferraro, anche consigliere nazionale della FIVI – cose che il Governo potrebbe mettere in atto senza particolare sforzo e che andrebbero ad aiutare sia noi che in modo indiretto tutta la nostra filiera».
Quelle della FIVI non sono però le uniche istanze che sono state poste all’attenzione della Bellanova. Nelle scorse settimane quasi 500 i produttori che hanno firmato una lettera di intenti nata in rete e promossa con l’hashtag #IlVinoNonSiFerma, missiva che poi è stata elaborata e che è diventata un memorandum presentato alle Istituzioni lo scorso 11 maggio. Un testo diviso in 3 sezioni contenenti una serie di proposte: una per dare liquidità alle imprese, una per preservare e valorizzare il vino che è stato prodotto durante le ultime vendemmie e che in questo momento è fermo in cantina, una per proteggere i tanti lavoratori precari che operano nel settore.
«La cosa più importante – racconta Marilena Barbera, vignaiola siciliana tra le animatrici dell’iniziativa – è che il Governo si muova in più direzioni, non solo verso incentivi per la distillazione e per la vendemmia verde (la pratica dell’eliminazione dei grappoli non ancora giunti a maturazione, in vigna, per diminuire la produzione di vino della prossima raccolta, nda). Abbiamo ben chiare quelle che sono le necessità delle grandi aziende, e quindi capiamo gli incentivi per distillare le eccedenze. Per un piccolo produttore però trasformare il vino in alcol è del tutto antieconomico, soprattutto se verranno confermate le cifre di cui si sta parlando in questo periodo, appena 30 centesimi al litro. Noi chiediamo che quei soldi ci vengano dati per tenere il vino in cantina, in affinamento. Solo in questo modo è possibile dare valore e dignità al nostro lavoro».
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