Il momento delle scelte è adesso. La pandemia che abbiamo attraversato e che stiamo ancora fronteggiando può essere occasione di rinascita, opportunità di ripensare un modello di sviluppo che ci ha trascinati nella gigantesca crisi climatica, o può diventare l’alibi per portare avanti, in nome della ripresa, politiche scellerate, le stesse che negli ultimi 50 anni hanno devastato il pianeta.
Nel settore agroalimentare, le risorse importanti che giustamente il decreto Rilancio mette a disposizione possono prendere due strade diverse.
Possono andare a vantaggio di un sistema che ha inquinato il suolo e l’acqua, generato ingiustizie sociali e compromesso la salute dei cittadini. Un sistema alla base di storture inaccettabili, come i cibi scadenti prodotti sulla pelle di tanti lavoratori sfruttati e venduti sottocosto in Africa (il Ghana, per esempio, è inondato ogni anno da milioni di tonnellate di salsa di pomodoro italiana, oppure cinese confezionata in Italia) o come lo spreco alimentare, che non è danno collaterale, ma meccanismo necessario alla sopravvivenza di un sistema di produzione basato sulla costante crescita dei consumi.
Oppure possono rilanciare soprattutto le filiere locali virtuose, quelle che garantiscono cibo buono e sano, che custodiscono il territorio e lo preservano dal dissesto. Durante la quarantena queste realtà hanno spesso dimostrato una straordinaria capacità di resilienza, inventandosi forme nuove di vendita diretta, organizzando azioni di solidarietà. Ma erano e sono filiere fragili, delicate, troppo spesso ignorate e dimenticate dalle politiche di sviluppo rurale. E oggi rischiano il collasso più di prima.
RIPARTIAMO DALLA TERRA – IL NOSTRO APPELLO AL GOVERNO
Con l’appello Ripartiamo dalla terra, Slow Food propone al Governo un provvedimento a sostegno di queste economie. Non tratta di un contributo a pioggia, di un provvedimento assistenziale, ma di una leva che potrebbe innescare un effetto moltiplicatore, facendo aumentare la domanda di prodotti locali.
Chiediamo di estendere il credito di imposta, già previsto per alcune spese legate all’emergenza Covid-19, ai ristoratori, alle strutture di accoglienza turistica e agli altri locali di somministrazione alimenti, per l’acquisto di prodotti agricoli e di artigianato alimentare di piccola scala legati a filiere locali, dove per locale si intende la dimensione regionale. Questo significa che se un ristorante ha costi di acquisto (per questa tipologia di prodotti) pari ad esempio a 10.000 euro, potrà usare il 20% di tale somma, cioè 2.000 euro, per compensare le tasse o i contributi che deve pagare per i propri dipendenti. Il credito di imposta sale al 30% se i ristoratori si rivolgono ad aziende che praticano un’agricoltura biologica o biodinamica, che si trovano in aree montane e all’interno di aree protette. Questo meccanismo fiscale può avere straordinarie ricadute su un intero sistema economico e sociale, coinvolgendo cuochi (dagli osti di paese agli chef stellati), contadini, allevatori, pescatori e artigiani di piccola scala, strutture alberghiere (dai rifugi alpini agli hotel), botteghe.Anzi, è più corretto parlare di una rete di sistemi: migliaia di sistemi locali, decine di migliaia di comunità che rappresentano la parte migliore del Paese, quella che si prende cura dei paesaggi rurali, della biodiversità, della cultura, delle ricchezze artistiche e architettoniche, della salute dell’ambiente e dei cittadini.
Quella che si fa custode di bellezza e sapere. E che fa economia, non solo poesia. Un’economia sana, di relazione, basata sulla solidarietà sociale e non sul cannibalismo dei forti a svantaggio dei più deboli, basata sulla cura e sul rispetto e non sulla depredazione delle risorse naturali. Slow Food, coinvolgendo imprese, fondazioni e istituzioni, sta creando un fondo per sostenere in tutta Italia queste comunità, che a noi piace definire comunità del cambiamento. Con questo appello chiediamo alla politica di fare la sua parte. Chiediamo di fare una scelta. Di non ripetere gli errori di un “secolo superbo e sciocco” che è riuscito, infine, a togliere ai giovani il bene più prezioso: l’ottimismo verso il futuro.
L’eccellenza del cibo italiano, insieme ad altre (come il design e la moda), è il principale punto di forza dell’immagine dell’Italia in tutto il mondo. E, se è indiscutibile il ruolo delle grandi imprese, è indubbio che la narrazione del nostro territorio si regge totalmente sul patrimonio costruito nel corso dei secoli dalle comunità locali ed è legata in modo indissolubile alla qualità delle materie prime e alla salvaguardia dei paesaggi rurali. Insieme alla legge contro le aste al doppio ribasso, che ci auguriamo venga approvata al più presto, questo provvedimento sul credito di imposta sarebbe un altro passo politico fondamentale per sostenere chi produce cibo buono, pulito e giusto.
Oltre 7 mila persone hanno già sottoscritto questo appello: ristoratori, produttori, imprenditori, docenti universitari, artisti, giornalisti, ma la nostra sottoscrizione rimane aperta. Ora chiediamo alle forze politiche di raccogliere e portare avanti questa proposta, perché il futuro del nostro Paese, ne siamo convinti, non può che ripartire dal rispetto per la terra.
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