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domenica 22 novembre 2020

Gli appunti di viaggio di Vite in fermento LUOGHI SOGNATI - BEDALES, LONDON November 21, 2020 di Marzia Pinotti




Mentre riordino la libreria, ritrovo una scatola di cui non ricordavo l’esistenza: dentro ci sono i biglietti da visita di tutti i ristoranti che ho frequentato nel corso della mia vita. Mi metto a sfogliarli con un misto di affetto e nostalgia, come se fossero un mazzo di carte, lentamente, uno per volta. A ciascuno è legato almeno un ricordo. In questi tempi immobili per me sono tutti luoghi ugualmente irraggiungibili: al di là del coprifuoco, alcuni sono lontanissimi, altri sono chiusi fino a nuovo ordine, altri ancora non esistono più.

Il Mulino di Semproniano, ad esempio, luogo che ho amato follemente, e che mi manca da morire. Come dimenticare Pina e i suoi pici al ragù bianco di coniglio? Un piatto da far resuscitare i morti. Ci sono andata per anni, e la sua cucina valeva il viaggio fino in Maremma. I muri esistono ancora, ma è un luogo svuotato di senso da quando lei se n’è andata. Pina, con il suo cappello torreggiante, raccoglitrice instancabile di erbe selvatiche e cuoca sopraffina. Un giorno ha chiuso i battenti per riaprirli altrove, in qualche località di mare. Motivi familiari, come talvolta accade.

E che dire di Le Grand 8, a Parigi, sotto Montmartre? Ci sono stata solo una volta, in un momento difficile della mia vita, e l’ho amato a prima vista. Lo ricordo come un luogo in cui sono stata felice per un paio d’ore, un’oasi in cui potermi abbandonare alle cure amorevoli di una cameriera senza dover pensare a nulla, dimenticandomi incolpevolmente delle mie paure. Vino perfetto, cibo perfetto. Una insalatina di cuore a pezzetti, che un po’ assomigliava al mio. Un anno dopo non esisteva già più. Chiuso. Chissà perché.

E La Coldana, a Lodi? Non era forse un miracolo godere della cucina di Daniele Lunghi per una volta tanto a pochi chilometri da casa? Ho goduto della sua cucina per qualche anno, finché qualcuno si è accorto che era troppo bravo per una zona in cui qualunque guizzo viene silenziosamente spento, e lui se n’è andato a spargere felicità altrove - prima a Volpedo, e poi ad Alassio. Ricordo ancora le sue capesante con spinacini e frutto della passione, e una créme brûlée alla lavanda che mi sogno ancora oggi.

Guardo quella scatola e penso che, più che un album di ricordi, è diventata una sorta di cimitero dei miei angoli di paradiso... Ma per fortuna non tutti quei biglietti appartengono al passato. Poco dopo mi ritrovo tra le mani il biglietto di Locanda Mariella, a Fragnolo di Calestano, sulle colline di Parma, un altro dei miei luoghi del cuore, rimasto chiuso per mesi fino all’estate, poi costretto a chiudere alle ore 18, e infine richiuso del tutto da quando l’Emilia Romagna è diventata zona arancione. Un altro luogo del cuore la cui sopravvivenza è appesa a un filo, come d’altronde tutti quei ristoranti rimasti chiusi per mesi, poi riaperti, e ora chiusi di nuovo. Quanti sopravviveranno alle misure restrittive dettate dalla pandemia? Quanti finiranno nel cimitero degli angoli di paradiso che tengo tra le mani?  

A un tratto, senza alcun preavviso, riemerge il ricordo di un piccolo rifugio dalla folla sotto le arcate della ferrovia, muri in mattone annerito dal tempo e dallo smog, uno squarcio d’azzurro e la bottiglia giusta sul tavolo. Bedales! Che nostalgia! Scartabello i miei biglietti ed eccolo lì il foglietto allungato color nocciola! Mostra i segni del tempo: per molti anni l’ho usato come segnalibro…  

Bedales è una piccola enoteca che si trova a Londra, sulla riva sud del Tamigi, a Southwark, nel cuore del Borough Market. È un luogo magico. Solo qualche tavolino, davanti a una grande vetrata a riquadri, da cui si osserva, inosservati, la vita scorrere là fuori. Per molti anni ho creduto che fosse il nome spagnolo della proprietà, e così l’ho pronunciato - BE-DA-LES – ma in realtà è solo il nome della via in cui si trova, Bedale Street.

Ogni volta, me ne stavo lì seduta per ore a osservare il mondo agitarsi al di là del vetro. Sul lato opposto della strada file interminabili di turisti in coda in attesa di un panino ripieno di pasticcio di maiale, e attorno a me un flusso continuo di avventori che si avvicendavano ai tavoli, consumando pasti veloci prima di rimettersi in cammino. Solo io mi godevo lo spettacolo, assaporando con un ritmo tutto mediterraneo ottime tapas, olive, acciughe del Cantabrico, diversi tipi di pane (vero pane, di quello fatto con lievito madre!), taglieri di formaggi francesi e piattini di pata negra, provenienti dai banchi del mercato di Borough. Prima di ordinare, sceglievo la bottiglia giusta direttamente tra quelle coricate sulla rastrelliera che occupava tutta la parete. Ricordo degli Chenin Blanc, quattro o cinque etichette, e due bottiglie familiari – un Dinavolino e un Verduzzo di Bressan – che vegliavano su di me dalla vetrinetta e mi facevano sentire a casa.

Fuori the mob – la folla – mugghiava senza sosta come il mare in tempesta. Un rumore di fondo, feroce e ferino, che non si interrompe mai, nella sua caccia ossessiva alla ricerca di cibo. Londra cos’è se non un grande ventre da sfamare a tutte le ore del giorno e della notte? Dopo chilometri e chilometri percorsi a piedi (non conosco altro modo per attraversare Londra), tra viuzze e strade secondarie, lì dentro riprendevo per un attimo fiato prima di ributtarmi nella mischia.

Lì, come ho scoperto l’ultima volta che ci sono stata, c’è anche una terrazza che si affaccia direttamente su Borough Market, il paradiso della gastronomia a Londra. Vuoi delle ostriche e dei frutti di mare? Desideri formaggi italiani e francesi? Cerchi del pane di Altamura o dei Pretzel, del Pata Negra o del San Daniele, dei tartufi o dei porcini secchi? Ebbene, qualsiasi cosa tu stia cercando, lì c’è.  A prezzi esorbitanti, ovviamente. Da lì, con la bella stagione, si gode una buona visuale direttamente sui banchi del mercato. I lucernai sopra la struttura in ferro dipinta di verde lasciano entrare molta luce naturale, e il mercato assume i caratteri di un luogo gioioso, quasi di festa.

Io, però, preferisco di gran lunga l’atmosfera che si respira nella saletta buia che dà su Bedale Street: il tavolino pieno di bottiglie e bicchieri, il brusio di sottofondo, gli sguardi tra i tavoli, e le conversazioni importanti, l’aroma consolatorio di un buon vino, mentre la gente si siede e si alza di continuo, e i camerieri ti danzano attorno, sfiorandoti appena… Quanto mi manca quel senso di libertà.

Seduta sul divano di casa mia, mi rigiro il cartoncino tra le dita. Londra. Chissà quando ci potrò tornare. Esisterà ancora il Bedales? Non ho il coraggio di aprire internet e scoprirlo.  

Per me esiste. Ed è quanto.     

Di MARZIA PINOTTI: divide la sua esistenza tra l’insegnamento, la scrittura e il vino. Viaggiatrice, sommelier ed enologa, più che wine writer, ama definirsi wine-storyteller: narratrice di storie intorno al vino. Da anni intervista vignaioli, cammino per vigne e indago sulla natura profonda dei vitigni attraverso l'Italia. 

La Barbera è femmina è il mio primo libro, ma il mio lavoro di ricerca continua.

Dal suo BLOG: http://www.viteinfermento.it



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