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mercoledì 11 novembre 2020

Da Asti ad Alba tra Monferrato e Langhe DA LE STRADE DEL VINO, CON MARIO SOLDATI

 



«Un sorso, a fior di labbro, sulla punta delle labbra. Isolarsi, intanto, concentrarsi, restare immobili, lasciare che il sapore salga al cervello, lo spirito si faccia spirito e si possa, tranquillamente, pensarlo… Penso alla terra, alla morena degli antichi ghiacciai. Penso al sole che scalda le colline, dalla vastità della pianura padana all’aria vivida del Rosa, altissimo alle loro spalle, e così vicino. Levo il bicchiere…» MARIO SOLDATI 


Mario Soldati definisce «Asti, antica simpa- ticissima, ribelle città piemontese e patria del grande poeta da me venerato», Vittorio Alfieri. Qui, in compagnia dello scrittore enologo, possiamo sentirci in un “quartier generale” per puntate nei vari paesi delle colline alla sinistra del Tanaro, terra d’elezione per il Barbera, il Grignolino, la Freisa e il Nebbiolo del Roero (senza dimenticare il Moscato). Da questa parte troveremo anche un vino bianco molto particolare, l’Arneis. «E la mattina, aprendo la finestra sulla piazza di Asti, rossa e triangolare, mi sembra di essere tornato a casa solo adesso. Casa di sempre qui, in Asti, anche se non mi fermerò mai. La via principale di Asti, il lungo, stretto, lievemente sinuoso corso Alfieri che attraversa la città da un capo all’altro, mi ha accolto tenerissimamente al mio arrivo da Genova e mi ha risucchiato come un solco sensuale fino alla piazza rossa». Potente e florida nel medioevo, Asti conserva di quell’epoca numerose case, torri e chiese che le conferiscono un nobile e caratteristico aspetto. La sua posizione, al centro delle comunicazioni stradali e ferroviarie del Monferrato, ha contribuito a farne un mercato vinicolo di importanza nazionale. Da vedere la grandiosa cattedrale gotica, dedicata a Maria Assunta e San Gottardo, costruzione in cotto tra le più importanti del gotico piemontese. Nella parte inferiore della facciata si aprono tre portali gotici e la parte superiore è tripartita da tre rosoni. All’interno, dal transetto sporge la cappella di San Filippo Neri, ornata da una trifora. Notevole inoltre il campanile romanico, ricostruito nel 1260-66 e ridotto all’altezza attuale nel Seicento. Tra le torri della città, da vedere è la slanciata torre Troyana, del secolo XIII, già annessa al palazzo Troya, detta pure torre dell’Orologio (collocato nel Cinquecento), alta 38 metri, con tre piani di bifore romaniche e che termina con tre giri di archetti romanici e merlatura ghibellina. Notevole anche, quasi al termine di corso Alfieri, il battistero di San Pietro o Rotonda, annesso all’ex sede priorale dei Cavalieri Gerosolimitani di San Giovanni. Il battistero è il più antico e notevole monumento astigiano e tra i più insigni esempi della tarda tradizione romanica nell’Italia settentrionale. È una bassa costruzione a pianta ottagonale, dal cui centro si alza un alto tiburio, pure ottagonale, ornato alla sommità da archetti. Al centro, fonte battesimale del XVI secolo. Non meno ricca di suggestioni è la collegiata di San Secondo, costruita tra il XIII e il XV secolo, sorta sulle rovine di una chiesa eretta dove fu martirizzato il patrono di Asti, san Secondo (un soldato romano che si convertì al cristianesimo). La facciata ha tre portali gotici e tre rosoni, di cui il mediano con ricche decorazioni in cotto. Il campanile è l’unico avanzo della chiesa romanica precedente. Tra le note folcloristiche sono da citare il Palio di Asti, ripristinato nel 1967, che ha ripreso una tradizione assai antica, risalente, pare, al 1275. Esso si compone di due momenti ben distinti: l’offerta del Palio (un drappo di stoffa color cremisi) alla collegiata di San Secondo, che si svolge il primo martedì di maggio e dà il via ai festeggiamenti in onore del santo patrono; la disputa della corsa del Palio, che avviene in settembre nel campo del Palio, preceduta da cerimonie propiziatrici presso le chiese parrocchiali dei quartieri cittadini e dalla fastosa sfilata storica in costume che dalla piazza Cattedrale percorre le vie del centro fino al luogo della gara. La corsa, momento finale e assai avvincente del palio, si articola in batterie e nella finale ed è disputata da fantini che montano i cavalli a pelo. Altra occasione folcloristica è il Festival delle sagre, che richiama ogni anno visitatori da tutto il Piemonte (e non solo) i quali, incuranti delle file e delle attese, vengono fino a qui per poter mangiare un tajarin al sugo d’arrosto, un fritto misto, un bollito misto (o altro, perché c’è da scegliere tra tantissimi piatti diversi) e bere del buon Barbera sfuso. Asti, come si diceva, è un ottimo punto di partenza per le visite alle case vinicole sparse tutt’attorno negli innumerevoli paesini del Monferrato. Ripercorrendo le orme di Soldati, la nostra prima tappa è Refrancore, noto per le sue uve pregiate (da cui si producono il Barbera e il Grignolino) e per la specialità dei biscotti “finocchini”. Il paese conserva due torri medievali quadrate, entrambe adibite a campanile «Qualcuno, forse molti, sostengono che il Grignolino autentico non esiste più. Questa voce, lo dico subito, non corrisponde a verità: e tuttavia circola per un buon motivo: perché il Grignolino, tra tutti i vini piemontesi, è certamente il più delicato, sopporta male i viaggi, richiede troppi accorgimenti nella scelta del locale dove lo si conserva: insomma, non si adatta, assolutamente non si adatta, alla brutalità del consumismo. Io stesso, da molti anni, non avevo più bevuto del Grignolino che assomigliasse sia pure di lontanal Grignolino della mia giovinezza. E la prima volta che ho ritrovato quel gusto, dopo mezzo secolo, è stato assaggiando il Grignolino di Refrancore». Poco più in là di Refrancore c’è Castagnole Monferrato. Qui, oltre che Barbera e Grignolino si produce un vino molto particolare: il Ruché. Soldati ricordava spesso gli amici produttori: «Castagnole Monferrato. A casa dei fratelli Carlo e Michele Meda. Barbera della zona della Barbera. Parlando della destra del Tanaro, i Meda dicono: Otatani (oltre-Tanaro) e mi pare che nell’intonazione includano come un radicale disprezzo appunto per la qualità di quella Barbera, e allo stesso tempo indichino una preferenza esclusiva e irrefutabile per la Barbera che loro producono, della sinistra del Tanaro». Tornando ad Asti ci fermiamo per la notte. Il giorno dopo ci dirigiamo verso ovest e raggiungiamo Cantarana: «Vado per la prima volta da Giuseppe Molino, al Bricco Grosso di Cantarana. Molino vinifica tre qualità: Barbera, Freisa, Tocai Nero. La terra è argillosa, durissima. Il Bricco Grosso una volta era tutto bosco. [...] Riprovo il Tocai Nero di Giuseppe Molino. Gradi 12. Ma decisamente amabile e, soprattutto, con quello straordinario profumo e sapore di ireos che ne fa un vino da dessert». Infine, ultima tappa alla sinistra del Tanaro, il Roero, un’area a nord-ovest di Alba, dove le rocche, profondi canaloni che tagliano le colline, mostrano gli strati di tufo del terreno. I rilievi, sempre armoniosi, hanno fianchi o morbidi o impervi. Tra i paesi del Roero si possono ricordare Monteu Roero, dove all’apice dell’altura soprastante l’abitato sorge l’imponente castello dei Roero, di origine medioevale, ricco di decorazioni e di affreschi dei secoli XVI-XVII; Santo Stefano Roero, caratteristico per l’imponente rudere del torrione eretto nel 1217 dai conti di Biandrate; Montaldo Roero, che oltre all’interessante parrocchiale gotica di San Michele (XIV secolo) conserva un torrione cilindrico medioevale e l’abside romanica della chiesa della Confraternita di San Giovanni. In questi luoghi, oltre che il Nebbiolo, si produce un bianco molto particolare, l’Arneis. Ecco l’impressione di Mario Soldati, mentre assaggia un Arneis: «Profumatissimo ma con estremo garbo: non di frutta ma di fiore, una fragranza amarognola, come di geranio. E così il sapore, che subito mi entusiasma». Da Asti ci spostiamo verso Alba, che diventa quindi il nostro secondo quartier generale, alla destra del Tanaro, terra d’elezione per la produzione di Barolo, Barbaresco e Dolcetto. Fermarsi almeno una notte è d’obbligo, anche per conoscere meglio la città. «Capisco frattanto che per giudicare un vino qualsiasi della grande, immaginaria ellisse enologica che occupa obliquamente il centro delle province di Cuneo (Langhe) e di Asti (Monferrato) bisogna, prima, informarsi se il luogo della produzione, la vigna dalle cui uve fu pigiato, si trova sulla sinistra o sulla destra del Tanaro. Si tratta di due terreni geologicamente molto diversi». Alba è chiamata “città delle cen- to torri”. In realtà i “giganti” me- dievali che spuntano dai tetti del- le case del centro storico sono so- lo una ventina, molte delle quali rifatte o ribassate. Alba però vanta anche diversi monumenti di aristocratica bellezza come il duomo quattrocentesco in stile gotico-lombardo, dedicato a San Lorenzo, al cui interno c’è un prezioso coro ligneo intagliato e intarsiato da Bernardino Fossati nel 1512-17; la chiesa di San Domenico (1292) dall’elegante portale con lesene bianche e rosse, la medievale loggia dei Mercanti, con portico ogivale e fregio in cotto e la chiesa barocca di Santa Maria Maddalena, piccola costruzione barocca dalla facciata in cotto, già annessa a un convento domenicano voluto nel 1446 dalla beata Margherita di Savoia, marchesa di Monferrato. La città inoltre è anche la patria del tartufo bianco (ogni anno, a ottobre, vi si svolge la fiera-mercato nazionale, con annessi una serie di incontri culturali ed enogastronomici, compreso un corso per degustatori), la varietà più pregiata – e più cara – del tartufo. È anche la patria della Nutella: la celeberrima crema fatta con la cioccolata e le nocciole locali si produce nello stabilimento della Ferrero, alle porte di Alba. La Nutella sarebbe nata per caso. Nel 1946, infatti, Pietro Ferrero nel suo laboratorio fece dei panetti con cioccolato, nocciole e burro di cocco, i giandujot, che però con il caldo si sciolsero, diventando un composto spalmabile. E nacque la “ricetta” vincente. Nel 1964, il figlio di Pietro, Michele, ribattezzò la Supercrema (così si chiamava prima) con un nome dalla radice inglese, nut (abbreviazione del termine nocciola) e dal suffisso italiano (volutamente infantile) ella. Il successo si allargò ben presto anche all’estero. Da Alba ci spostiamo a Neive, adagiato su un colle in bella posizione panoramica. Conserva due chiese interessanti: la confraternita di San Michele (XVII secolo), con pianta a croce greca, e la parrocchiale dei Santissimi Pietro e Paolo, con campanile cinquecentesco. Passò di qua anche Mario Soldati, soprattutto per assaggiare i famosi vini di Barolo e Barbaresco (che di qua dista poco meno di tre chilometri). «Barolo della Vigna Rionda di Serralunga... Ma ho perso il conto. E intanto il produttore, Giacosa, passa all’antiquariato: strane bottiglie polverose e coperte di ragnatele: le stappa non perché le beviamo. Un Barbaresco del 1895. Una Barbera Fassetto del 1892! L’uno e l’altro sono diventati bianchi. Acidificati. Ma un profumo etereo, inebriante. Si capisce che erano deliziosi. E, continuando a stappare, Bruno Giacosa sorride stranamente felice. Tocca, a suo modo, lo scopo ultimo dell’arte: una sublime inutilità». Da Neive si può raggiungere Boglietto, dove «tutto è ricco, ampio, aperto, ben curato, razionalmente sfruttato, consumisticamente gestito: vado allo stabilimento e tenuta dei Morando». Qui la specialità «è quella della zona: il Moscato naturale, che ha 4 gradi di alcool svolti e 11 gradi complessivi». Ecco cosa ne pensa del Moscato: «Confesso di avere sempre avuto un debole per il Moscato. Lo trovo adatto al dessert, e alle merende specialmente quando vi partecipano i bambini: ma, soprattutto, mi va col salame crudo e fresco, tagliato a fette spesse, per spuntini verso le undici di mattina. Come? Un vino dolce e leggero col salame? Provare per credere». Torniamo ad Alba fermandoci un’altra notte. Il giorno dopo ultima tappa vinicola, a La Morra. Anch’essa in posizione panoramica, verso le Langhe e le Alpi. Il centro storico del paese, di impianto medievale, è indicativamente a forma di ventaglio. Considerevoli la chiesa parrocchiale di San Martino, i resti dei bastioni della cinta muraria medievale, la torre municipale, alzata nel 1710 nella piazza principale, la cui base è un avanzo dell’antico castello. Di qui passò anche Mario Soldati e visitò il museo del vino nel convento attiguo all’abbazia dell’Annunziata, appena fuori da La Morra, dove il proprietario gli spiegò che «l’uva bisogna pigiarla coi piedi». La sua visita lo portò poi a degustare vini a Santa Maria, frazione di La Morra: «Siamo nella zona del Barolo. Ho cominciato subito col Barolo. Barolo ’67, gradi 14,3. Glicerina densa. Profumo intensissimo e persistente, tra di lamponi e di viole». È ora di salutare questi luoghi di fascino, ma solo per un arrivederci. Ci sono ancora tanti paesi da scoprire e sapori da degustare (in questo Piemonte non si vive di solo vino: formaggi, insaccati, dolci…), con la certezza, tipica di Mario Soldati, che ogni volta che torneremo qui sarà come ritornare a casa, anche se non ci fermeremo mai.

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