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giovedì 8 ottobre 2020

Sicilia: l'incanto della cultura di Giacomo Tachis SAPERE DI VINO Il più grande enologo italiano racconta la storia, la filosofia, la tecnica e i luoghi del vino


 Se c'è un luogo dove è naturale - come i vini che produce - costruire un evento sui VINI; questo luogo è di certo la Sicilia che per storia, tradizione, mitologia non è seconda a nessun'altra Regione d'Italia per la produzione, antica e nobile, di VINI.

Sicilia: l'incanto della cultura
'Strabone, il grande storico e geografo greco vissuto tra il 63 a.C. e il 24 d.C., racconta che i vigneti siciliani, fra i quali il Mamertino dell'Agro Messinese, producevano vini che potevano gareggiare con i migliori d'Italia allora conosciuti. Diodoro Siculo ha scritto che l'isola si gloriava di aver servito tre divinità: Cerere, con la sua produzione granaria (la Sicilia era il granaio di Roma), Bacco, per la qualità e la bontà dei suoi vini, e Apollo Termite per la ricchezza e la salubrità delle sue acque minerali. <<Ci portammo oltre, e de' Ciclopi altieri, l Che vivon senza leggi, a vista fummo. l Questi, lasciando ai numi ogni pensiero, l Né ramo o seme por, né soglion gleba l Co! vomero spezzar; ma il tutto viene l Non seminato, non piantato o arato: l L'orzo, il frumento e la gioconda vite, l Che si carca di grosse uva, e cui Giove l Con pioggia tempestiva educa e cresce>> scriveva Omero nel IX canto dell'Odissea. La Sicilia può produrre moltissime varietà di vino, dai più leggeri a quelli ad alta gradazione, fino ai famosissimi vini dolci o vini-liquore. Il Mamertino, per esempio, era vino leggero, un po' allappante per una naturale acidità elevata, che Giulio Cesare voleva servito abitualmente alla sua tavola. Plinio stesso lo afferma e André Tchernia, nel suo libro Le vi n de l'ltalie Romaine, definisce questo vino quatrième grand cru classé proprio per via della preferenza accordata da Giulio Cesare. A questa bella terra immersa nello specchio azzurro di un mare cristallino e indorata da un sole sempre ridente l'uva risponde con l'intensità cromatica delle sue bacche, con il sapore e il profumo che giunge fino alle note balsamiche: patrimonio prezioso, che con abile arte enologica viene poi trasmesso al vino che ne deriva. I grandi traffici mediterranei dell'età arcaica passano tutti per il canale di Sicilia. Quanta bevanda di Bacco ha fornito Agrigento a Cartagine! Erano celebri le cantine di Gellia, ricco agrigentino. Mozia, poi, documenta gli spostamenti dei vini di Sicilia in terrecotte siciliane e in anfore fenicie, tanto che i vini di Marsala, in queste anfore, possono avere lontanissime origini. Un'altra testimonianza dei movimenti commerciali con le terre egee e i collegamenti con la Sardegna la dobbiamo agli studi sulle terrecotte di Thasos, ed è probabilmente per questa corrente che si viene a chiarire la presenza a Thasos delle <<Pinake di Locri>>, giunte a Siracusa e a Selinunte verso la metà del V secolo a.C. Va ricordata poi l'attenzione di Corinto verso la Sicilia, dato che quest'isola rappresentava una tappa obbligata - la prima - degli itinerari marittimi verso il Tirreno: attraverso questi scambi arrivano viti che permettono di ottenere vini del tutto particolari. La cultura della vite è profondamente radicata in Sicilia, e accompagna l'arte, la letteratura, la storia, contribuendo attivamente al ricco patrimonio della civiltà antica. Trinacria, terra dalle tre punte, come la chiamavano i geografi. Il più. antico simbolo della Sicilia è una testa di donna con tre gambe, la Triscele dei Greci, rappresentata nelle pitture vascolari conservate nel museo archeologico di Agrigento. Ipotesi etimologiche vedrebbero derivare il nome <<Sicilia>> dall'unione di due voci antiche: <<Sik>> ed <<Elia>>, indicanti rispettivamente il fico e l'olivo, espressione reale di terra siciliana. E dove ci sono fico e olivo, l'uva non può che riuscire eccellente. Anche la civiltà rnicenea era approdata in Sicilia: lo testi­moniano le anfore a staffa, tipiche di Micene. La Sicilia era collegata con una cinquantina di <<case dei mercanti Sicilia: L'olio di oliva era allora molto profumato, un prodotto di lusso, riservato a ristretti gruppi sociali, per il culto e per i massaggi. Diverse erano poi le terrecotte che contenevano il vino siciliano. Grazie ad Archiloco e Erodoto sappiamo che, intorno al V secolo a.C., circolava vino siciliano in un'anfora di tipo orientale di origine fenicia, impiegata da quel popolo per il vino di Byblos (vino Biblino), citato anche nelle produzioni pregia te di Lesbo, di Chios, di Thasos e di Mende. Sono tanti i legami fra Sicilia e Grecia. Virgilio, raccontando le tribolazioni di Enea, lo descrive giunto nei pressi di Cartagine mentre distribuisce ai suoi compagni il vino che Aceste aveva loro liberamente offerto prima della sua partenza dalla Sicilia e che era appunto contenuto nel kados, l'anfora che faceva la spola tra i due poli del mondo fenicio d'Occidente: Sicilia occidentale e Cartagine. È dunque nel kndos che il vino siciliano parte con Enea dalla Sicilia verso Cartagine, e questo vaso è attestato in tutta l'area mediterranea arcaica, simile alla giara orientale, ben diffusa in Sicilia. D'altra parte, una delle attestazioni più remote e più attendibili della vite per l'archeologia concerne proprio l'ipotesi sulla costituzione di una vigna nel territorio di Megara Hyblaea all'epoca e nell'ambito della colonizzazione di Timoteo, durante la seconda metà del IV secolo a.C. E, in parallelo, arrivano ai medesimi risultati altri studiosi per la zona di Siracusa e terre limitrofe.' L'anfora ha un valore, dal punto di vista della ricostruzione storica, inestimabile: quando questo prezioso contenitore viene sostituito dai deperibili barili in legno, si perdono, o risultano molto più difficili da seguire, le tracce dei traffici nel mondo antico. Importanti legami esistevano anche tra Sicilia e Malta, considerata <<appendice della Sicilia». Legami determinati dalla geografia e che affondano nella profonda antichità, fino alle culture di Thapsos, tra il XIV e il IX secolo a.C. Thapsos era considerata un <<emporio del Commercio maltese>> dopo che era stata identificata a sud di Siracusa, nell'isoletta di Ognina, un'autentica colonia maltese a piena conferma di <<Malta, appendice meridionale della Sicilia>>. Inoltre, la presenza delle ceramiche greche arcaiche è un'altra testimonianza di questo legame. Ceramiche greche ma, più che provenienti dalla Grecia, prodotte negli opifici di Mozia, considerata colonia greca della Sicilia sudorientale. Mozia era anche punto di partenza e di arrivo per gli scambi di anfore da vino con Malta e con l'Oriente antico. Il mare di Sicilia è quello che dovevano attraversare i naviganti prima di giungere alle rive orientali dell'isola. E nell'antichità, più ancora di oggi, il Mare Siculurn è una strada, un vero <<cammino del Mare>>, che favorisce la concentrazione degli abitanti e la ricchezza delle culture. La funzione primaria della parte nordovest dell'isola è
di controllare e di favorire i contatti commerciali fra Cartagine e il mondo tirrenico, così da rendere la Sicilia occidentale un'antenna in ottima posizione sulle rotte che conducono in Sardegna e in Spagna. È per queste rotte che transitano la Malvasia, il Moscato, il Marsala e tanti altri vini di Sicilia. Le Lipari e Pantelleria sono famose per la produzione dei Passiti, ottenuti da antichissime varietà di vite. Non meno interessante il Moscato di Noto, con i suoi aromi che si confondono con le note delicate di zagara. E poi i vini Entelliani e Inittini, celebrati da Strabone e da Pausania, il vino Polio dei Siracusani, il Leontino dei Leontini, il Murgantino, i vini <<della Vittoria>> richiestissirni dai Maltesi e dagli ltalici, e poi l'Inzolia di Plinio, e tanti, tantissimi altri, fino al Catarattu vrancu, al Catarattu reusu di Plinio e al Grillo. Sono molte le viti in Sicilia. Viti storiche, viti che il celebre Francesco Cupani descrisse con dettaglio e con competenza nel suo Hortus Catholicus e nel suo Panphyton Sicu/um, opera molto rara, sconosciuta persino a Linneo, ma assai preziosa per questa meravigliosa terra. Purtroppo oggi la produzione enologica siciliana è in crisi, una crisi imputabile in parte a una certa faciloneria, sia a livello di vigna sia a livello di lavoro in cantina. Si è puntato alla quantità a scapito della qualità, con conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti. Oggi ci vuole vino di buona, di eccellente qualità non solo per la bottiglia da bere in certe occasioni, ma anche per la bottiglia di normale distribuzione. È cambiato il palato dei consumatori, è cambiata l'abitudine alimentare, è cambiata l'interpretazione filosofica del vino. Ma la vigna, in Sicilia, non è cambiata, o lo ha fatto solo in minima parte. D'altro canto una vigna dura ben oltre 20-25 anni, e non è come una catena di montaggio che, con un semplice assegno bancario, puoi sostituire velocemente. Comprendo dunque come l'enologo non possa fare più di tanto quando giunge in cantina l'uva della vigna progettata e coltivata per la grande quantità, e a volte addirittura con varietà di scarso interesse organolettico. L'epoca dei <<maghi>> in cantina, lo abbiamo già detto, è finita, anzi, di maghi non ce ne sono mai stati. Oggi è necessario l'impegno di tutti, vignaioli ed enologi: perché se i primi hanno peccato di faciloneria, i secondi non hanno avuto la capacità di ribellarsi a quella filosofia di facile e insipida produzione viticola, di macchine poco rispettose dell'uva e di silos da raffineria di petrolio, anche se per un certo numero di anni essi hanno svolto un modesto ruolo. Non è il caso, comunque, di cercare peccati e peccatori, perché quello che oggi noi vediamo come peccato forse prima non era tale o lo era solo parzialmente. Non dimentichiamo che la Sicilia, come già anticipato, può produrre uve per vini di qualità straordinaria e che non temono nessuna bottiglia al mondo. Già ne esistono in commercio ma, purtroppo, sono ancora pochi, troppo pochi rispetto alla superficie vitata e alle capacità potenziali di questa bella isola. Alcuni produttori stanno già commercializzando bottiglie eccellenti che fanno onore nel mondo a questa terra, ma non sono molti rispetto alla popolazione aziendale e, per buona parte, sono <<privati>>. È necessario che queste belle figure di imprenditore crescano sensibilmente di numero e nel contempo bisogna che anche le aziende cooperativistiche si evolvano molto velocemente. Per il vero, alcune stanno facendo grandi passi avanti ormai da qualche anno, nonostante, mi sembra di capire, le gravi difficoltà poste a volte dal «materiale umano» ancor più che dai problemi di economia e di finanza, già pesanti di per sé. Eppure l'idea della Sicilia vitivinicola deve cambiare.Non penso che la produzione quantitativa in Sicilia si possa considerare parte della «tradizione>>, anche se una volta il vino in quanto alimento veniva prodotto in gran quantità senza particolare considerazione per le caratteristiche organolettiche. Occorre rivedere alla svelta i disciplinari di produzione dei vini a denominazione di origine protetta, per aggiornarli qualitativamente, sul piano organolettico, alle esigenze attuali del gusto del consumatore e quindi del mercato. Bisogna aumentare sensibilmente il numero delle denominazioni di origine, perché rispetto alla quantità di produzione e alle capacità pedoclimatiche dell'isola le attuali sono poche e in parte superate qualitativamente. Bisogna allargare la piattaforma ampelografica con varietà anche alloctone, per produrre, in uvaggio o in vinaggio con le autoctone, quei vini Internazionali moderni che il mercato oggi richiede, senza naturalmente tralasciare gli autoctoni in purezza, ma migliorati. Bisogna ripristinare quella tecnica viticola che ha reso grandi in passato i vini di quest'isola e che è stata insegnata nel mondo intero.Grazie agli invidiabili caratteri del clima e del terreno, con le loro capacità tecniche gli uomini di Trinacria sono in grado di produrre vini da <<miglioramento strutturale>>, polifenolico e da grande souplesse: i tannini nobili e dolci che solo qui la vite riesce a produrre riqualificano quelli che nel resto d'Italia e all'estero si vendono a caro prezzo. Questi vini che «sostentano» i «nobili poveri» si possono produrre solo qui, e si dovrebbero dunque vendere a prezzo elevato, perché solo essi permettono di apportare valore aggiunto alle etichette di chi li acquista. Non si tratta dunque del modesto e ordinario prezzo-grado, oggigiorno superato con il mosto concentrato rettificato, che tutti possono impiegare per elevare il tasso alcolico ai vini di bassa gradazione. Il vino a struttura polifenolica dolce e ricca allo stesso tempo non lo producono il mosto concentrato né il libretto di assegni, ma soltanto il sole e il clima di Sicilia e
di pochissime altre terre mediterranee. La Sicilia deve ritornare a essere non solo la terra del sole ma la terra del grande vino. I vini di Alcamo, di Agrigento, di Caltanissetta e di tantissime altre zone devono essere riveduti per ritornare a presentarsi in bottiglie di qualità eccellente. Tutti i vini, da quelli da ampia distribuzione fino a quelli di pregio con etichette millesimate. Nella tecnologia enologica futura, infatti, si deve solo prevedere di «produrre bene»: dal vino modesto di tutti i giorni al più superbo. Bisogna staccarsi, per quanto possibile, dal vino da distillazione, anche se sicuramente una certa quota di esso, sia per circostanza, sia per obbligo di legge, dovrà entrare nelle caldaie delle colonne distillatorie che lo scindono in acqua e alcol, poiché di questo prodotto ci sarà comunque bisogno. I tecnici viticoli e vinicoli svolgono e dovranno svolgere un ruolo importantissimo in quest'opera trasformatrice, se i politici e gli amministratori sia pubblici sia privati li sosterranno e li incoraggeranno. L'Istituto Regionale della Vite e del Vino ha intrapreso da qualche tempo delle sperimentazioni di rnicrovinificazione interessanti in vigna e in cantina, con risultanze ottime, che mette a disposizione di tutti. Produrre meno ma meglio è urgentissimo e indispensabile, per riportare il vino sul carrus navalis e per farlo navigare nel <<mare color del vino di Dioniso>> compreso nel <<Grande verde>>, che era la denominazione del Mediterraneo al tempo dei faraoni. E Oinops, l'uomo siciliano dalla pelle colore del vino, riapparirà con tutta la sua affascinante, mitica storia.'
Giacomo Tachis
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