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lunedì 28 dicembre 2020

PANDEMIA E VINO: IL GRIDO DI UN PRODUTTORE

 



Intervista a Umberto Cosmo: "Ci aspettavamo una risposta istituzionale più pronta ed efficace in questo secondo lockdown"



Umberto Cosmo, è un artigiano del vino. Uno capace di interpretare il territorio e di rischiare innovando, tanto da produrre il primo prosecco superiore con il metodo classico. Un vignaiolo etico, una persona che mette passione e serietà in tutto quello che fa, ed un briciolo di pazzia che non guasta mai. Questa mattina sulle pagine del suo profilo Facebook ha sottolineato la necessità di porre l’accento sulla crisi che il sistema ristorazione e il sistema vino stanno vivendo.  

Che anno è stato il 2020 per il vino italiano? 

Per molti di noi vignaioli la prima fase di lockdown, seppure dolorosa da un punto di vista economico, ha rappresentato un momento utile per fermarci a riflettere sul nostro sistema di produzione. Abbiamo avuto il tempo di riappropriarci del nostro rapporto quotidiano con il lato più propriamente agricolo del nostro lavoro ma anche di riesaminare il nostro sistema impresa per capire quali cose si potevano cambiare. Nello stesso tempo abbiamo dovuto approntare delle strategie utili alla gestione degli stati di crisi, strategie che elaborano solitamente solo le grandi aziende strutturate: apertura a modelli diversi di commercializzazione con ricerca ed esplorazione di nuovi segmenti, rapporto con la clientela con un’analisi più pronta e puntuale dei punti di forza e debolezza di ciascun cliente, rielaborazione di rapporti con i nostri dipendenti con la ricerca comune di una flessibilità nelle mansioni, attivando anche una serie di corsi legati alla conoscenza di strumenti informatici e di comunicazione. Detto questo, ci aspettavamo una risposta istituzionale più pronta ed efficace in questo secondo lockdown del settore. Chiudere indiscriminatamente tutti i locali senza il coraggio di dire che chi applicava i protocolli con criterio avrebbe potuto rimanere aperto, ha portato il settore della ristorazione in una situazione insostenibile economicamente e il vino italiano ne sta seguendo le sorti.

Com’è cambiato il consumo del vino a causa della pandemia?

I canali di vendita che hanno sofferto di meno sono GDO (dove le vendite di vino anzi sono cresciute, in particolare nelle fasce entry-level), enoteche per asporto, oltre agli e-commerce proprietari delle singole aziende. Sul mercato italiano molte aziende, soprattutto medio-piccole, hanno sempre trascurato la distribuzione moderna per il timore di indispettire i canali tradizionali: diventa necessario anche per queste crearsi delle alternative per penetrare questo mercato, anche se mi rendo conto che non sarà possibile per tutte le aziende. In generale, comunque, dato che le occasioni conviviali si sono ridotte anche in ambito domestico, il consumo di vini in bottiglia ne ha risentito, seppure in maniera differenziata per le diverse tipologie.

Quali sono i settori più colpiti? 

In generale tutta la filiera agroalimentare italiana si troverà a fare i conti con un 2020 pesantissimo. Ismea (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) calcola un arretramento della spesa per consumi fuori casa del 48% con una perdita di 41 miliardi, solo parzialmente compensati (+ 11,5 miliardi) dall’incremento dei consumi in casa: il saldo resta negativo per circa 30 miliardi! Dal nostro osservatorio, necessariamente limitato ad alcune tipologie di prodotto, abbiamo visto una maggior difficoltà sui vini di fascia intermedia. Poche o nessuna difficoltà negli entry level, vini che si potevano collocare facilmente in segmenti per noi prima poco sfruttati come grande distribuzione, soprattutto all’estero. I vini destinati alla ristorazione sono quelli che hanno più sofferto in termini di volumi, anche perché molti ristoratori hanno preferito dare fondo alle scorte di cantina e limitare il più possibile e allo stretto indispensabile i rifornimenti. Il settore legato alle visite in cantina (soggiorni presso gli agriturismi aziendali, visite e vendite dirette) è in sofferenza per il mancato arrivo di turisti dall’estero. Anche nel nostro segmento aziendale dell’accoglienza in cantina abbiamo sperimentato un calo di circa il 90% degli arrivi dell’estero, solo parzialmente recuperato con il mercato domestico. Già alla fine del 2019 avevamo circa l’80% di prenotazioni legate al recente riconoscimento UNESCO delle colline di Conegliano Valdobbiadene, ma queste sono state tutte cancellate a partire da febbraio/marzo 2020.

Quali sono le strategie che avete adottato per resistere?

Come già accennato, è stato necessario ripensare il nostro posizionamento sul mercato e rivolgerci a canali non sfruttati come la distribuzione moderna, consci però del fatto che non tutti i nostri colleghi hanno potuto approfittare di questo canale, in quanto solo le aziende con un minimo di struttura commerciale possono rivolgersi a tale segmento. Il canale internet è stato un altro sbocco, peraltro non risolutivo. In quest’ultimo caso abbiamo organizzato dei corsi di formazione per migliorare la conoscenza degli strumenti da parte di alcuni dipendenti. Per dare dei dati concreti, le vendite dirette al consumatore tramite il nostro e-commerce, investendo opportunamente in comunicazione sui canali social, hanno visto un incremento del 500%, con valori assoluti molto interessanti e promettenti per il futuro. Per la parte produttiva, abbiamo anticipato parte della nostra transizione da metodo Charmat a metodo classico per la nostra produzione di prosecco docg in modo che i tempi più lunghi di elaborazione ci consentano una migliore gestione delle scorte con un incremento del valore aggiunto in una prospettiva di medio periodo.

Vino italiano ed export, quanto ha pesato questa pandemia? 

Per quanto riguarda i mercati esteri, pur nei suoi chiaroscuri, il vino italiano ha tenuto rispetto al 2019, con valori di fatturato pressoché identici, assistendo comunque a un riposizionamento dei vari prodotti dalla ristorazione alla distribuzione per i consumi a casa. Molti distributori sono stati rapidi nel cambiare strategia commerciale, ridefinendo le mansioni dei loro dipendenti o, in alcuni casi, eliminando le posizioni lavorative per assicurare al meglio il conto economico dell’azienda. 

Sono stati commessi errori in fase decisionale da parte delle istituzioni?

Questo è un tasto delicato, ma di sicuro non posso non notare che il grande problema è stato sulle vendite in Italia, dato che come dicevo prima l’estero è pressoché invariato (-1%): questo è un elemento che mi fa propendere per dichiarare assolutamente inadeguata la risposta delle istituzioni. Il problema maggiore è stata l’incapacità conclamata di prendere decisioni chiare, ancorché possibilmente impopolari: gli imprenditori hanno bisogno di decisioni certe (seppure dolorose) per poter trovare soluzioni, non possiamo, infatti, cambiare strategia a ogni cader di foglia. Il grave problema della classe politica italiana è saper capire la differenza tra strategia e tattica, risolvendosi il più delle volte a reagire senza una visione di lungo periodo, solo per mettere delle inutili toppe. La ricerca del consenso a tutti i costi è il più grave ostacolo a trovare soluzioni concrete e di lungo respiro. Si è persa inoltre l’occasione per iniziare a ridefinire la funzione pubblica, non comprendendo che le rendite di posizione non hanno più ragione di esistere.

Cosa sarebbe necessario fare per sostenere il settore? 

I ristori, così come concepiti, sono solo dei palliativi inutili. Non si può risolvere un problema di questa portata con qualche soldino per la spesa. È necessario comprendere che le aziende vanno messe in sicurezza per poter poi ripartire e quindi dare le necessarie garanzie anche nei confronti del sistema bancario: allungamento delle moratorie sui mutui e le esposizioni, garanzie sulle vendite all’estero per stimolare l’internazionalizzazione. Attivare seriamente un programma di digitalizzazione: molte aziende si trovano in aree rurali e in tali aree la connettività in banda larga è un miraggio. È fondamentale poterne disporre anche per poter disporre dei programmi di lavoro a distanza, possibilità oggi preclusa a molte aziende non per cattiva volontà o mancanza di conoscenze, quanto per oggettivi limiti tecnologici di rete.

Quali saranno le sfide future finita questa pandemia? 

Abbiamo imparato l’utilità e il valore della comunicazione a distanza per il tramite di mezzi informatici, ma questi mezzi non sono sufficienti per comunicare al meglio l’Italian lifestyle. Sono necessarie campagne di comunicazione migliori e senza gli abituali sprechi a cui purtroppo indulgono le agenzie governative. Inoltre, per aumentare la percezione del valore del food and beverage italiano, bisogna dotare le aziende di risorse per poter attaccare concretamente i mercati: dovremo ricominciare viaggiare per ritrovare i nostri clienti all’estero e questo purtroppo non lo potremo fare a bordo di monopattini e banchi a rotelle.

AZIENDA: https://www.bellenda.it/vini/

(Fonte: Huffigtonpost. Intervista a cura di Isabella Perugini - Autrice TV e Sommelier)

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